Francia: La rivolta delle banlieue

Italian translation of The revolt of the French estates by Greg Oxley (November 8, 2005)

In questi ultimi giorni, un’ondata di scontri senza precedenti nelle periferie francesi si è diffusa dalla banlieue parigina a tutto il paese, in pochissimo tempo, interessando oltre 200 comuni in tutta la Francia. Si contano, ad oggi, migliaia di auto date alle fiamme, centinaia di locali, magazzini, negozi devastati, mentre poliziotti e Crs (la Celere francese - ndt) fronteggiano sfiniti, soverchiati, demoralizzati, la marea montante della protesta: le periferie delle grandi città francesi si sono trasformate in altrettanti campi di battaglia.

La causa scatenante della rivolta è stata la morte di due giovani che, temendo di essere incastrati nell’ennesima retata della polizia, si erano rifugiati in una cabina dell’alta tensione, rimanendo fulminati. Al di là del fatto specifico, tuttavia, l’ampiezza e lo straordinario vigore del movimento si spiega tenendo conto di tutta una serie di effetti, stratificati in decine d’anni, della disoccupazione, della povertà, della discriminazione sociale e razziale. Un ruolo importantissimo lo gioca, infine, la reazione al cinismo di tutta quella classe parassitaria e corrotta che regna grazie all’“ordine repubblicano”, che quotidianamente ostenta il suo disprezzo per la “teppaglia delle banlieue”, e la cui mentalità reazionaria s’incarna perfettamente nel linguaggio provocatore, sprezzante e bellicoso di Nicolas Sarkozy.

Pur di stigmatizzare gli scontri e nascondere le vere ragioni della rabbia delle periferie non si è lasciato nulla d’intentato, parlando dei giovani coinvolti come teppisti, criminali, imbecilli manipolati dai “caporioni”. In realtà non c’è niente di tutto questo: quello cui stiamo assistendo è una rivolta dei giovani, non certo i figli di papà, ma i più oppressi, i più tartassati, i più disperati, e se i borghesi sono scandalizzati dai loro modi, se li trovano “incivili”, forse dovrebbero rendersi conto che queste maniere ruvide sono le uniche che conoscono i figli di un ambiente durissimo, per il quale lo Stato è, innanzitutto, la brutalità della repressione poliziesca.

Pensano forse che ognuno di loro non sia stato vittima, in qualche modo, di privazioni o discriminazioni? Certo, questi giovani sono mossi dalla rabbia, dall’odio ma, contrariamente a quanto si sente di solito, l’odio non è sempre una cosa negativa: l’odio può essere una leva potentissima dell’emancipazione umana, nella misura in cui venga diretto contro l’ingiustizia di un sistema, appunto, odioso.

Dal nostro punto di vista, di militanti comunisti e del sindacato, avremmo molto da dire sui metodi utilizzati dai giovani in rivolta, metodi che non sono quelli del movimento operaio perché, a nostro avviso, mancano il bersaglio, che non è certo la scuola, l’asilo, i negozi o le macchine da distruggere. Queste azioni, tuttavia, sono parte integrante, e caratterizzante, di questo tipo di mobilitazioni. Nella storia, nel diciannovesimo secolo, prima che i lavoratori si organizzassero nei sindacati, non era infrequente che lavoratori esasperati si scagliassero contro le macchine, contro le fabbriche, contro la proprietà, attaccandola e distruggendola in qualunque forma essa si esprimesse. Ebbene, i giovani dei quali stiamo parlando non conoscono il mondo del lavoro perché ne sono sempre, loro e molto spesso anche i loro genitori, esclusi pregiudizialmente. In molte città, infatti, il tasso di disoccupazione raggiunge il 40%. In ogni caso, comunque, sono moltissimi i giovani che non approvano il tipo di azioni messe in atto, però mentre negli scioperi, ad esempio, i lavoratori dispongono di organizzazioni e di ambiti di decisione collettiva, in questo caso pur non approvandole non hanno molti mezzi per impedirle.

Detto questo, l’atteggiamento del governo e dei media nei confronti dei danneggiamenti è del tutto ipocrita. Non fanno altro che versare lacrime di coccodrillo, perché se da un lato si capisce benissimo la rabbia dei lavoratori e delle loro famiglie che soffrono per i danni alle loro cose e che nulla hanno a che fare con le cause della rivolta, dall’altro deve essere ben chiaro che anche se nella protesta si continuasse a bruciare e distruggere macchine per un anno intero, non si arriverebbe mai ai livelli di devastazione di fabbriche, posti di lavoro e servizi pubblici causati dal vandalismo dei teppisti - in giacca e cravatta, ma non meno teppisti - del Medef e dell’Ump (la Confindustria francese ed il partito di Chirac, al governo, ndt).

De Villepin e Chirac non cessano di fare appelli perché si ristabilisca l’ “ordine”, De Villiers (presidente del Mpf, partito cattolico di estrema destra) invoca l’utilizzo dell’esercito per sedare la rivolta, ma l’“ordine” di cui vanno cianciando è quello di uno Stato affarista marcio e corrotto fino al midollo, un “ordine” in cui una manciata di grandi capitalisti sottomette la società nel suo complesso alla sua sete di potere e di profitti, un “ordine” in cui i giovani accettano passivamente la loro sorte, in cui i lavoratori si piegano docili alle leggi del mercato, in cui i ricchi continuano ad arricchirsi, mentre povertà e precarietà si generalizzano. L’avversione implacabile di Sarkozy contro le periferie, bellamente presentate come dei covi d’integralisti musulmani, criminali, terroristi fa il paio con l’avversione mostrata nei confronti dei marittimi della Sncm dei tramvieri della Rtm o di qualsiasi altra categoria che lotti contro le privatizzazioni e la regressione sociale.

Questa rivolta s’incrocia con quella che cova nel mondo del lavoro e chiama a gran voce il movimento sindacale, socialista e comunista a che non si tenga da parte da un movimento così importante. Tra questi giovani coraggiosi, combattivi, spavaldi, in rivolta - malgrado tutti i limiti derivanti dell’inesperienza politica e della mancanza d’organizzazione - ed i mastini rappresentanti del capitalismo che gli mandano i celerini, la nostra scelta è presto fatta.

Quando il segretario socialista François Hollande si rifiuta di chiedere le dimissioni di Sarkozy, adducendo il pretesto di non voler incoraggiare la rivolta, non fa altro che incoraggiare Sarkozy stesso. Detto questo, le dimissioni di Sarkozy non sarebbero comunque sufficienti: quello che bisogna rivendicare sono le dimissioni di tutto il governo e l’organizzazione immediata di elezioni legislative.

La barbarie del capitalismo

I giovani non hanno bisogno di alcuna predica moralista, bensì di un programma d’azione audace, rivoluzionario, tanto implacabile contro il capitalismo quanto questo è implacabile contro di loro. Le rivolte “cieche” di questo tipo sono non solo le conseguenze dell’impasse del capitalismo, ma anche il segno del fallimento di 15 anni di governi di sinistra a partire dal 1981, governi nei quali gli eletti del Psf e del Pcf si sono accontentati di piccole riforme che poco o nulla hanno modificato del carattere rapace e reazionario del capitalismo. Prova ne sia che proprio l’ultimo governo di sinistra ha lanciato un programma di privatizzazioni su larga scala che Chirac, Raffarin e de Villepin non hanno fatto altro che proseguire dal 2002.

Il nostro compito di comunisti, oggi, è quello di spiegare, pazientemente ma senza cedimenti, ad ogni giovane, ad ogni lavoratore, ad ogni disoccupato e ad ogni pensionato che il capitalismo significa regressione sociale permanente, che non ci sarà altro modo d’invertire questa tendenza finché le banche e le grandi aziende saranno nelle mani dei capitalisti. Noi dobbiamo tendere una mano fraterna e solidale ai giovani in rivolta, spiegare loro che nessuna rivolta, per quando forte e prolungata potrà risolvere i loro problemi, e proporre loro di organizzarsi con noi per preparare coscientemente e seriamente la lotta per rovesciare l’ordine capitalista.

I rappresentanti del capitalismo continueranno a provvedere ai manganelli, ai lacrimogeni, alle manette ed a quanto vorranno utilizzare per “ristabilire l’ordine”, ma non risolveranno nessuno dei problemi che impediscono una vita decente ai giovani. Anche questa rivolta, inevitabilmente, terminerà, ma le cause di fondo che l’hanno scatenata rimarranno e tra i giovani che oggi fronteggiano con coraggio la brutalità poliziesca, domani si ritroveranno molti combattenti per la causa del socialismo. Condizione necessaria sarà, tuttavia, che si parli loro un linguaggio che possano comprendere, il linguaggio della rivoluzione.

Perché davanti a noi abbiamo esattamente questo: una rivoluzione! Il sistema capitalista è assolutamente incapace di rispondere ai bisogni del popolo, la sua stessa esistenza è divenuta del tutto incompatibile con le conquiste sociali del passato ed i suoi alfieri non potranno far altro che prendersela con i lavoratori, i disoccupati ed i pensionati, aumentandone disoccupazione, precarietà e miseria. Non a caso nello stesso preciso istante in cui de Villepin parla di attenuare la “sofferenza” della gioventù, il governo ed i padroni lanciano un nuovo attacco contro l’indennità di disoccupazione. La rivolta delle banlieue è l’espressione reale delle tensioni reali che attraversano la società francese, una nuova prova - e molte altre ce ne saranno - che la Francia è entrata in un epoca di profonda instabilità sociale, nel corso della quale i lavoratori di tutto il paese saranno di fronte alla necessità non più rinviabile di porre fine al capitalismo.