Il marxismo, il parlamento e la rivoluzione venezuelana - Il Venezuela dopo le elezioni: ed ora?

Italian translation of Marxism, parliament and the Venezuelan Revolution - Venezuela after the elections by Alan Woods (December 19, 2005)

Nella rivoluzione bolivariana il parlamento e le elezioni hanno giocato un ruolo importante fin dall’inizio. Coloro che credono di essere dei grandi rivoluzionari (e pure grandi “marxisti” ) ma che capiscono molto poco di una rivoluzione immaginano che ciò squalifichi la rivoluzione bolivariana in partenza. Pensano che le rivoluzioni e il parlamento siano fenomeni che si escludono a vicenda. Ma questo non è necessariamente vero.

I marxisti non sono affetti né dalla sindrome del cretinismo parlamentare (riformismo) né da quella dell’anticretinismo parlamentare (anarchismo). Non abbiamo alcun pregiudizio sulle armi da utilizzare nella lotta di classe. Siamo per utilizzare il macchinario della democrazia borghese per ingaggiare un dialogo con le masse, per fare agitazione ed organizzarle. In questo senso stiamo seguendo le tradizioni del Bolscevismo. Lenin e i Bolscevichi hanno sempre sfruttato qualunque possibilità di partecipare alle elezioni della Duma e dei consigli municipali, sebbene il regime zarista privasse questi organi di qualunque reale contenuto democratico. Usavano il lavoro parlamentare, nonostante le circostanze fra le più sfavorevoli, per costruire il partito rivoluzionario e rafforzarne le basi tra le masse.

E’ vero che durante la rivoluzione russa del 1917 il parlamento giocò un ruolo insignificante. Sebbene il partito bolscevico avesse inserito nel suo programma la richiesta di una Assemblea Costituente all’interno di una serie di rivendicazioni democratiche più generali, lo sviluppo dei soviet degli operai e dei soldati - una forma organizzativa ben più democratica e rappresentativa del parlamento borghese più democratico - la rese velocemente obsoleta. Il potere Sovietico dissolse l’Assemblea Costituente. Il parlamentarismo russo morì al momento di venire al mondo.

Ad ogni modo, non fu certo questa l’unica variante possibile anche in Russia. Lenin e Trotsky non esclusero in partenza la possibilità che la rivoluzione Russa sarebbe potuta passare per una fase parlamentare. Non era del tutto escluso in partenza. In circostanze diverse, l’Assemblea costituente avrebbe potuto giocare un ruolo centrale, come quello giocato dal parlamento nella rivoluzione inglese del XVII secolo o in quella francese del XVIII.

La rivoluzione Francese ci offre molte lezioni a riguardo e ci ripromettiamo di tornarci in un futuro articolo. In Francia, l’intero processo passò attraverso l’Assemblea Nazionale ( o Convenzione ) e si riflesse nella ascesa e nella caduta dei partiti e dei dirigenti dell’Assemblea stessa. Ma questo a sua volta fu chiaramente il riflesso del movimento delle masse rivoluzionarie di Parigi, che intervennero continuamente per depurare l’Assemblea, eliminandone l’ala destra, dagli elementi più compromessi e titubanti e sostituendoli con dirigenti rivoluzionari più energici e determinati. Al tempo stesso, le masse proletarie e semiproletarie di Parigi organizzarono le proprie associazioni per dirigere il movimento. Quindi, il movimento extra-parlamentare delle masse giocò un ruolo determinante nel condizionare quello che accadeva all’interno dell’Assemblea Nazionale

Elezioni in Venezuela

La lotta parlamentare è un’arena importante dove le classi tra loro antagoniste si scontrano e lottano per prevalere una sull’altra. D’altro canto, in ultima analisi, la vera battaglia si svolge sempre fuori dal parlamento. Presto o tardi le questioni importanti vengono affrontate non nell’atmosfere rarefatte della camera di dibattito, ma nelle strade, nelle fabbriche, nelle campagne e nelle caserme. Non comprendere questo fatto significa non capire nulla della storia in generale e della storia delle rivoluzioni in particolare. Sulla base di circostanze concrete, delle tradizioni nazionali e dei rapporti di forza tra le classi, è possibile che il parlamento possa giocare un ruolo importante in una rivoluzione in determinati paesi. In Venezuela c’è una certa tradizione parlamentare, sebbene questa istituzione sia corrotta fino al midollo, forse ancor più che in altre democrazie borghesi (e sono tutte corrotte, particolarmente negli USA). Tuttavia, le masse e la classe media sono abituate a partecipare alle elezioni parlamentari e a esprimere il loro malcontento e le loro aspirazioni votando partiti politici.

Nella Quarta Repubblica le elezioni parlamentari erano un mero gioco per illudere la gente di avere una possibilità e di potere determinare la vita politica della nazione una volta ogni quattro-cinque anni. In realtà, non cambiava nulla. Il potere rimaneva nelle mani dell’oligarchia e dei propri scagnozzi nei diversi partiti. Questo fu istituzionalizzato nell’accordo di Punto Fijo del 1958 dai principali partiti (Ad, Copei e Urd ).

Comunque, tutto cambiò nel Gennaio del 1989. I leaders della “democrazia“ venezuelana dichiararono guerra al loro stesso popolo. Spararono senza alcuna pietà su uomini, donne e bambini inermi nelle strade di Caracas. Diedero al popolo del Venezuela una lezione importante sulla realtà della democrazia borghese, che in ogni caso è solo una foglia di fico per mascherare la dittatura delle banche e dei grandi monopoli. Questi ultimi sono disposti a tollerare la democrazia, fino a quando non danneggia il loro dominio di classe. Quando la democrazia minaccia il potere dei capitalisti, dei banchieri e dei latifondisti, la loro maschera sorridente viene gettata e la classe dominante afferma il proprio potere attraverso mezzi violenti.

Il Caracazo rimise tutto in discussione. Dalla sera alla mattina le istituzioni della democrazia borghese furono compromesse senza speranza di fronte agli occhi delle masse: il vecchio parlamento, le costituzioni, le leggi, i partiti e i loro dirigenti furono screditati. La borghesia riuscì a mantenere il controllo attraverso una sanguinosa repressione. Ma non poteva durare a lungo. Il fermento politico e sociale emerso dal Caracazo si espresse nel fallito colpo di stato del 1992 e nel successivo arresto di Chavez e del suo gruppo di ufficiali progressisti. La decadenza del vecchio regime aveva colpito persino le forze armate, e si era aperta una frattura nello stesso apparato dello stato. Questa è la prima condizione per una rivoluzione.

L’intero corso della storia dimostra che la repressione di per se stessa non è sufficiente a contenere le masse. La pressione delle masse assicurò la liberazione di Chavez e cominciò a prendere piede un potente movimento, con forza esplosiva, attorno alla sua persona. Questo si mosse entro i binari del sistema elettorale, culminando nella schiacciante vittoria di Chavez alle elezioni del 1998. Bisogna essere completamente ciechi per non capire il significato progressista della lotta elettorale in questo contesto. La competizione elettorale giocò un ruolo molto importante nel mobilitare e organizzare le masse, permettendo loro di recuperare rapidamente dalla terribile sconfitta del 1989.

L’elezione di Chavez forniva un punto di riferimento e una causa attorno ai quali le masse si sarebbero potute unire. Le vittorie elettorali furono una conseguenza del risveglio delle masse, ma ogni vittoria in campo elettorale ha rafforzato a sua volta la loro combattività e determinazione. Quindi, la battaglia elettorale ha giocato un ruolo importante nel far avanzare la coscienza rivoluzionaria e nello spingere il movimento in avanti. L’esempio più chiaro a riguardo lo si può vedere nella vittoria al referendum revocatorio del 2004. Quella volta la competizione elettorale fu combinato ad una mobilitazione di massa nelle strade. Le masse organizzarono le Unità di Battaglia Elettorali per lottare contro referendum revocatorio, che all’apice del processo arrivarono a inquadrare nei loro ranghi più di un milione di persone.

Il 4 Dicembre

Lenin prestò sempre molta attenzione ai risultati elettorali. Li usava per cercare di farsi un’idea del livello di coscienza delle masse e dei relativi rapporti di forza tra le classi. Quale conclusione possiamo trarre dai risultati elettorali del 4 Dicembre?

In primo luogo, senza dubbio indicano una nuova tappa del processo rivoluzionario in Venezuela. E’ stato un altro colpo inflitto alla controrivoluzione e all’imperialismo. Nelle elezioni legislative il partito di Chavez - il Movimento per la Quinta Repubblica ( Mvr ) - ha conquistato 114 seggi su 167 nella nuova Assemblea Nazionale del Venezuela- un netto 68% del totale. I partiti alleati di Chavez hanno conquistato tutti i 167 seggi per l’Assemblea Nazionale. La campagna e il voto sono proceduti normalmente, senza incidenti degni di menzione. Tutto ciò nonostante una campagna frenetica dell’opposizione controrivoluzionaria per destabilizzare le elezioni e cercare di creare ancora le condizioni psicologiche per un altro golpe. I maggiori partiti dell’opposizione - Azione Democratica (AD), i Cristiano sociali del Copei, Projecto Venezuela e Primero Justicia - tutti hanno ritirato i loro candidati prima del voto. Capendo che avrebbero subito un’umiliante sconfitta, i partiti dell’opposizione hanno sporcamente cercato di boicottare le elezioni. Come risultato, fra le classi medio-alte, dove l’opposizione ha la sua base, molti elettori sono rimasti a casa.

Nelle roccaforti dell’opposizione c’è stata una bassa partecipazione - appena il 10% dei votanti, mentre le aree sostenitrici di Chavez hanno visto una partecipazione davvero imponente. La partecipazione dei votanti è stata più bassa di quella che gli esponenti dei partiti filogovernativi avevano previsto. Prevedibilmente, i dirigenti dei partiti dell’opposizione hanno cominciato a gridare che la nuova Assemblea Nazionale non ha alcuna legittimazione. Maria Corina Machado, uno dei dirigenti dell’Ong vicina all’opposizione Sumate, ha detto “ Da un parlamento pluripartitico siamo passati a un parlamento monopartitico che non rappresenta larghi settori della popolazione. Oggi nasce un’Assemblea Nazionalepriva di una propria legittimazione. “.

Ma perché dovrebbe essere così? I partiti dell’opposizione avevano l’opportunità di presentarsi alle elezioni e quindi dimostrare di essere capaci di conquistare la maggioranza in parlamento. Avevano questa opportunità - e l’hanno rifiutata. Hanno boicottato le elezioni. Ora, il primo e più elementare regola della democrazia è: “Devi essere presente!” Ciò è stato ben espresso da Eugenio Chicas, un magistrato del Consiglio elettorale di El Salvador: “ La democrazia si costruisce sulla base di quelli che partecipano, quindi il ritiro…dei partiti dell’opposizione non delegittimizza le elezioni parlamentari. “.

La ragione reale dovrebbe essere chiara a tutti: qualsiasi sondaggio d’opinione indicava che l’opposizione avrebbe ottenuto circa 20 seggi a fronte dei 76 che aveva prima. E’ inutile non andare a votare o ritirare i candidati e poi lamentarsi per il risultato delle elezioni esattamente come è inutile non voler sedersi a cena e poi lamentarsi di avere fame. Nessuna persona intelligente prenderebbe sul serio tali lamentale sulla “legittimità“. Il popolo ha votato per l’Assemblea Nazionale. L’Assemblea Nazionale ha un lavoro da fare. Deve procedere nei suoi lavori.

Persa da tempo la carta della democrazia, l’opposizione sta facendo pressione sull’Assemblea Nazionale. Cercano di imporre il loro volere dalla porta di servizio perché al momento sono incapaci di vincere un’elezione. Fanno ricorso a tattiche extraparlamentari, mentre protestano vivacemente che sono loro i veri difensori della democrazia. I dirigenti dell’opposizione accusano Chavez di erodere la democrazia estendo la propria influenza politica sui tribunali del paese e sul Consiglio elettorale nazionale per stringere il potere nelle proprie mani. Questo ricorda chiaramente la propaganda di Washington, dove si sono anche inventati un termine completamente nuovo, precedentemente sconosciuto alla lingua inglese (e a qualsiasi altra): “autoritarismo elettivo”.

A Caracas sono stati trovati ordigni esplosivi alcuni giorni prima delle elezioni. Erano parte di un piano per assassinare il Presidente? E’ piuttosto probabile. E la decisione dei principali partiti d’opposizione di boicottare le elezioni, accompagnate dalle manifestazioni in strada nei quartieri ricchi, ne costituivano il terreno di coltura, creando una sensazione di caos e disordine generale. Appena poco prima delle elezioni qualcuno ha fatto saltare una conduttura petrolifera. Chi è stato il responsabile? Tutti puntano il dito sull’opposizione e sulla CIA. Questo mostra il reale atteggiamento dell’opposizione controrivoluzionaria e degli “amici della democrazia“ a Washington.

L’ipocrisia degli imperialisti

Sia l’Unione Europea che l’Organizzazione degli Stati Americani hanno partecipato alla cospirazione contro Chavez, rilasciando relazioni ambigue e confuse sulle elezioni del Congresso. L’OAS, burattino di Washington, e l’UE hanno detto che le elezioni del 4 Dicembre sono state “largamente regolari“, ma hanno notato “alcune irregolarità“ nella votazione e diffide di ufficiali elettorali. Tutto ciò intendeva solo gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

Gli Stati Uniti, mentre continuano a blaterare di democrazia, stanno cercando di rovesciare il governo democraticamente eletto del Venezuela. In questo sporco lavoro, possono contare sull’appoggio di una serie di governi fantoccio in America latina disposti a fare qualunque cosa essi chiedano. Il presidente Chavez ha decisamente ragione nel descrivere il presidente Fox come, appunto, un burattino. Ma non ha ragione nel supporre di aspettarsi un trattamento migliore dall’Unione Europea. E’ vero che ci sono delle contraddizioni tra Washington e i suoi alleati europei, ma sono tutti uniti su scala mondiale contro la rivoluzione e il socialismo. Atteggiamenti differenti nei confronti del Venezuela sono solo di natura tattica. Sulle questioni fondamentali non divergono, e l’UE non muoverà un dito per aiutare Chavez e la rivoluzione. Al contrario, mentre si mettono in tasca accordi vantaggiosi sulle forniture di petrolio, le loro vere simpatie vanno tutte alla borghesia venezuelana e all’opposizione. Il che è confermato dalla condotta degli osservatori europei.

Queste, probabilmente, sono state le elezioni più monitorate della storia. Ancora una volta, un esercito di osservatori stranieri è calato su Caracas, esaminando con una lente di ingrandimento ogni singolo dettaglio del processo elettorale. Potremmo sempre chiederci perché Washington non sia stata così ansiosa di monitorare le elezioni, palesemente truccate, indette da Carlos Andres Perez e altri amici degli USA in passato. Dov’erano gli appelli all’intervento dopo il Caracazo del 1989, quando questa grande “democrazia“ macellò migliaia di uomini donne e bambini disarmati? Dov’erano, allora, le richieste di un “cambio di regime”?

L’atteggiamento di Washington e dei suoi manichini dell’Osa, così come quello dell’Ue, è di completa ipocrisia. Se un basso numero di votanti rendesse non valida l’elezione di un candidato, nessun Presidente sarebbe salito alla Casa Bianca per decenni. Nel 1994 la vittoria dei Repubblicani al Congresso fu ottenuta con il supporto del 17% dei cittadini aventi diritto… per non citare il fatto che per le elezioni legislative l’astensione media negli Usa è del 70%. Nelle ultime elezioni per il Parlamento Europeo (Giugno 2004) la partecipazione fu solo del 28% dei votanti di 10 paesi. Anche nelle ultime elezioni parlamentari in Francia, il partito del Presidente Jaques Chirac ha vinto con solo il 16% dei voti e un tasso d’astensione del 70%.

In Colombia il presidente Alvaro Uribe, pupillo di Washington e dei paramilitari fascisti, ha vinto le prime elezioni con un tasso di astensione dell’80%. Come per il Venezuela, dove partiti come AD e COPEI hanno basato per 40 anni il proprio dominio su elezioni manomesse, e adesso criticano un processo elettorale che è stato scrupolosamente democratico.

Politica estera

L’autore di queste righe mise in guardia un rappresentante del Ministero degli esteri diversi mesi fa che sarebbe stato irrealistico aspettarsi un equo trattamento da parte della delegazione dell’Unione Europea. Quell’avvertimento si dimostrò più che giustificato. Parlando dalla capitale dell’Uruguay, Montevideo, Chavez ha rifiutato le relazioni tendenziose dell’OAS come “imboscate”. Questo è piuttosto corretto. “Questa è una strategia contro il Venezuela, hanno seminato mine e si sono lasciati dietro un campo minato, il tutto per cercare di destabilizzare il Venezuela”, ha detto Chavez ai delegati dalle nazioni del Sud America per accogliere il Venezuela nel blocco dei negoziati del Mercosur.

“Questi delegati, sia quelli provenienti dall’Osa (Organizzazione degli Stati Americani) sia quelli dell’Unione europea, “, il presidente ha continuato, “ cospirano contro gli interessi del popolo venezuelano e contro la democrazia del Venezuela.” Il che è pure corretto. E’ stato ingenuo pensare che i cosiddetti “osservatori imparziali stranieri” fossero, nei fatti, imparziali.

Il segretario generale dell’Osa, Jose Miguel Insulza, presente anche all’incontro del Mercosur, ha risposto con quell’astuzia mielosa che è il marchio di fabbrica della diplomazia borghese. Ha detto che la relazione della missione era solo preliminare, che avrebbero preso nota delle preoccupazioni di Chavez, e così via. Ma ha aggiunto in risposta ai reclami di Chavez: “Mi piacerebbe solo puntualizzare, come ha detto lui (Chavez), che la missione dell’Osa è stata sollecitata dal governo venezuelano.”

L’aspetto più debole e più insoddisfacente della rivoluzione bolivariana è la sua politica estera. Non è un caso che se c’è una parte dell’apparato dello stato dove la controrivoluzione è più forte è il corpo diplomatico. Non è un segreto che siano pochi gli ambasciatori di cui ci si possa fidare e che alla prima opportunità passeranno alla controrivoluzione.

Per eliminare la mancanza di una genuina politica estera rivoluzionaria, il presidente è entrato in diretto contatto con leaders stranieri. Per rompere l’isolamento diplomatico che Washington sta cercando di imporre al Venezuela, Chavez ha tentato di trovare accordi con i governi e i paesi che hanno differenze nei confronti degli Usa, o che possono essere considerati “progressisti”. Lodabile intenzione, ma i risultati non sono sempre quelli che si desiderano.

L’Economist del 9 Dicembre 2005 ha confrontato in maniera derisoria queste elezioni “con il tipo di situazione usata da Saddam Hussein per vincere in Iraq con il 99% dei voti” e ha criticato il fatto che “ora non c’è nessuna opposizione parlamentare al presidente, che guida questo paese dell’America latina e spera di stare al potere altri 6 anni al termine di questo mandato”.

L’articolo continua lamentandosi sull’inconsistenza dell’opposizione, che è, come è correttamente puntualizzato: ”segnata dal discredito della precedente elite, completamente divisa, manca di una direzione e viene sempre messa in un angolo dall’astuto presidente.”.

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Alla fine questa rivista di destra è stata costretta ad ammettere:

“In realtà, i partiti dell’opposizione che si erano sganciati sapevano che difficilmente avrebbero potuto vincere. L’Mvr di Chavez e i suoi alleati controllavano già con una risicata maggioranza di seggi prima delle elezioni, e il presidente è veramente popolare, sebbene la popolarità nei sondaggi sia scesa dal 70% a circa il 50%. Chavez dice di stare distruggendo il vecchio ordine, in cui i due principali partiti si spartivano comodamente il potere e se la spassavano alle spalle della gente. Grazie all’attenzione data alle masse povere del Venezuela, i suoi sostenitori lo adorano.”

Quindi continua a lamentarsi:

“Ora con una maggioranza parlamentare superiore ai due terzi, Chavez può cambiare la costituzione a suo piacimento. Il che probabilmente si tradurrà in un’ingerenza sempre maggiore dello Stato nell’economia, e sempre meno limiti sulla presidenza. Chavez è pressoché sicuro di essere rieletto nel Dicembre 2006.”.

“Il presidente venezuelano è amico di Fidel Castro, e Cuba riceve petrolio a buon mercato in cambio dei servizi di migliaia di medici cubani. Nestor Kirchner, presidente dell’Argentina, sembra stia avvicinadosi alla posizione di Chavez. Il Venezuela sta finanziando il debito argentino, cosa che aiuta Kirchner a continuare a trattare con disprezzo il Fondo Monetario Internazionale. Chavez è anche in buoni rapporti con Luiz Ignacio Lula Da Silva, presidente del Brasile, personaggio di sinistra più moderato. Con il supporto aggiuntosi dal nuovo presidente di sinistra dell’Uruguay, il Venezuela spera di unirsi al Mercosur, il blocco di commercio della regione. Questo rappresenterebbe un altro spazio per la petrodiplomazia di Chavez, sebbene possa essere un modo per i suoi vicini di fermarlo in qualche modo.”

Si aggiunge:”Ha relazioni amichevoli anche con l’Iran e la Cina. Molti americani si preoccupano che il dialogo di cooperazione sul nucleare con l’Argentina possa aiutare l’Iran, attraverso il Venezuela, a costruire una bomba nucleare.” Questo è il tipo di argomento che a suo tempo venne usato per giustificare la guerra in Iraq.

Il Venezuela è il quinto esportatore mondiale di petrolio. Questo ha dato indubbiamente alla rivoluzione dei momenti di respiro e a permesso a Chavez di costruire dei punti di appoggio, attraverso accordi sull’energia, con i vicini caraibici e sudamericani. Ma l’aiuto che si può ottenere in questo modo è molto relativo e molto instabile. I soli veri amici che ha il Venezuela sono i lavoratori, i contadini e i poveri dell’America latina e del mondo intero. E’ di amici come questi che avrà bisogno.

Una resa dei conti è inevitabile

In fin dei conti qui non si tratta di una guerra di dichiarazioni o di un dibattito costituzionale. Si tratta di una guerra di classe, un conflitto che coinvolge interessi fondamentali. Chavez ha proclamato la necessità di una rivoluzione socialista non solo in Venezuela, ma anche in America latina e su scala mondiale. Ovviamente Washington interpreta tutto ciò come una “minaccia alla stabilità regionale”. Dal punto di vista dell’imperialismo è corretto. I costanti appelli rivoluzionari di Chavez non cadono certo nel vuoto. Sono ascoltati avidamente da milioni di lavoratori e da contadini in Bolivia, Ecuador, Perù, Argentina e Brasile.

La rivoluzione bolivariana ha risvegliato le simpatie di milioni di persone, non solo in Venezuela ma ben oltre i suoi confini. E’ vero che non ha ancora superato il punto di non ritorno. Il potere dell’oligarchia venezuelana non è stato ancora spezzato. Chavez ha scelto il percorso parlamentare, ma con queste elezioni l’intero processo sta giungendo ad un punto critico ove le contraddizioni devono finalmente essere risolte - in un modo o nell’altro. La schiacciante vittoria all’Assemblea Nazionale assicura un cambio costituzionale che permette al Presidente di presentarsi per un terzo mandato nel 2012. Questo è quello che Washington teme di più.

La deputata dell’Mvr Cilia Flores ha pubblicato una serie di conversazioni registrate di un gruppo di ufficiali in congedo riuniti da Gustavo Diaz Vivas - guardia del corpo personale di Pedro Carmona Estanga durante il colpo di stato dell’Aprile 2002 - , Oswaldo Suju Raffo, Antonio Guevara Fernadez e Carlos Gonzalez Caraballo. La domenica scorsa avrebbero dovuto lanciare una serie di atti terroristi, in concomitanza con le elezioni parlamentari.

“Stavano preparando un piano di destabilizzazione terroristica per rinviare le elezioni; in seguito abbiamo visto che i dirigenti dei partiti dell’opposizione si erano improvvisamente ritirati dalle elezioni e che quelli che avevano rifiutato il percorso elettorale stavano comunque pianificando qualcosa. In molti si sono chiesti in cosa consistesse il “Piano B”, ma noi lo sapevamo (e il popolo lo sapeva), e abbiamo deciso di rivelarne le prove all’Assemblea Nazionale ieri (mercoledì).”, ha detto Cilia Flores.

Nicolas Maduro, presidente dell’Assemblea Nazionale, ha chiamato il popolo a riflettere sulla sequenza di eventi emersa dalle prove che includono registrazioni telefoniche in cui il generale in congedo Oswaldo Suju Raffo discute parti di un piano nazionale e internazionale, descrivendo in dettaglio gli eventi violenti che avrebbero dovuto verficarsi in Venezuela. Nella conversazione si parla dell’acquisto di armi, e specialmente di fucili svedesi 40AT-4s costruiti sotto licenza del Pentagono. Durante la conversazione telefonica, i cospiratori hanno rimarcato la loro intenzione di attaccare le istituzioni e i dirigenti governativi…definiti in codice come “passeggeri di prima classe “.

Questi sono avvertimenti seri. La lotta elettorale è solo un’arena della lotta. Ha una considerevole importanza nel galvanizzare il sostegno popolare, nel mobilitare le masse per la lotta. Permette di misurare il supporto guadagnato dagli schieramenti in lotta. Ma questo è tutto. In sé un’elezione non risolve nulla. L’oligarchia non ammette leggi, costituzioni o governi eletti che vadano contro il proprio interesse. Non esiteranno a ricorrere al sabotaggio, all’omicidio e alle cospirazioni per riconquistare il potere.

L’oligarchia venezuelana e i suoi burattinai a Washington non si fermeranno davanti a nulla. Non esitarono a perpetrare il massacro di migliaia di persone nel Febbraio del 1989. Sono stati i responsabili di due dozzine di morti durante il fallito colpo di stato dell’11 Aprile 2002, e quante persone in più avrebbero perso la vita se quel golpe non fosse stato sconfitto dall’insurrezione delle masse? C’erano loro dietro l’assassinio di Danilo Andersson (un giudice che stava indagando sul golpe dell’11 aprile, ndt) e l’omicidio di oltre 80 contadini la cui unica colpa è stata quella di lottare per la riforma agraria. Sono stati loro a mettere bombe al Consiglio Elettorale Nazionale, e ad una raffineria di petrolio, il giorno prima delle elezioni legislative, per seminare il panico e la paura nell’elettorato. Chi può credere anche per un solo minuto che questa gente abbandonerà il potere e i propri privilegi senza combattere?

Come si può difendere la democrazia?

Tutto a un tratto vediamo un proliferare di dichiarazioni, petizioni e appelli per difendere la democrazia in Venezuela. Una necessità che non ha bisogno di essere ribadita. Anche un bambino di sei anni sa che una costituzione democratica è preferibile a una fascista! Ma nella lotta per difendere i diritti democratici conquistati dalle masse in lotta non è necessario presentare un quadro idealizzato di democrazia parlamentare borghese, meno ancora elevarla al livello con cui gli antichi Israeliti considerarono l’Arca dell’Alleanza.

Ah! Ma noi adesso abbiamo una nuova costituzione: la Costituzione bolivariana, che è completamente diversa da tutte le altre costituzioni, ci diranno alcuni. Sì, la Costituzione bolivariana è un gran bel documento. E’ la costituzione più democratica al mondo. Ma, in ultima analisi, la costituzione è solo un pezzo di carta. Se gli eccellenti principi della Costituzione Bolivarana sono destinati a essere messi in pratica o a rimanere sulla carta dipende dai rapporti di forza tra le classi, e dalla determinazione delle masse a lottare.

Non c’è bisogno di dire che i lavoratori e i contadini difenderanno la Costituzione bolivariana perché è un importante documento democratico che fornisce alle masse un contesto legale molto favorevole in cui sviluppare la lotta di classe e difendere i propri interessi. Ad ogni modo, per le masse la democrazia non è il fine in sé ma solo un mezzo per raggiungere il fine. Se non portasse ad un miglioramento delle loro vite, se non facilitasse la lotta per la trasformazione della società, non servirebbe più a nulla.

Sì, le elezioni del 4 Dicembre sono state una vittoria e hanno segnato l’inizio di una nuova fase nella rivoluzione. Ma in una guerra si può vincere una battaglia e alla fine perdere la guerra. L’elezione di una Assemblea nazionale chavista omogenea può essere un grosso vantaggio, ma è un vantaggio che può svanire se l’Assemblea non agisce in modo decisivo. Lo ripetiamo: in sé e per sé, le elezioni non risolvono nulla. Aprono la strada a una nuova e più feroce lotta tra le classi. Sarebbe da criminali non vederlo.

Nel 1930, ai tempi della Repubblica di Spagna, i fascisti ponevano demagogicamente la domanda: cosa ti darà da mangiare la Repubblica? E’ vero che, quando i fascisti salirono al potere, i lavoratori e i contadini non mangiavano meglio ma decisamente peggio. Senza dubbio, i fascisti furono abili nel basarsi sull’umore crescente di disillusione e di apatia che stava prendendo piede gradualmente al posto dell’entusiasmo rivoluzionario dei primi tempi, alimentato dal fatto che la Repubblica avete lasciato il potere nelle mani dei latifondisti e dei capitalisti.

Il successo o il fallimento della rivoluzione dipende da una e una cosa soltanto: l’appoggio attivo delle masse sfruttate, dei lavoratori e dei contadini. Solo le masse hanno impedito la sconfitta della rivoluzione durante il golpe dell’Aprile 2002, e durante la successiva serrata dei padroni. Solo le masse bloccarono l’avanzata della controrivoluzione nel Referendum revocatorio nell’Agosto del 2004. Tutto ciò dovrebbe essere sufficiente per qualsiasi serio osservatore.

Sarebbe perciò motivo di estrema preoccupazione se le masse cominciassero a lasciarsi andare alla disillusione e all’apatia. Per capire gli umori delle masse è necessario studiare ogni genere di statistiche, e i risultati elettorali ci forniscono alcuni dati importanti sulla loro psicologia. Bisogna ammettere che un risultato elettorale non ha l’1% di precisione. E’ come una fotografia al posto di un’immagine in movimento. Ci dice qualcosa sugli umori delle masse in un momento determinato.

I mass media delle grandi multinazionali naturalmente concentrano la loro attenzione sull’alta astensione nel tentativo di togliere ogni legittimazione ai risultati elettorali e quindi fornire giustificazioni per le loro trame controrivoluzionarie. E’ ovvio. Ma senza dubbio, dal punto di vista rivoluzionario anche un’elevata astensione richiede una spiegazione. I resoconti ufficiali - ovviamente scritti in risposta agli attacchi dell’opposizione - cercano di abbassare il livello di astensione. Questo è indegno di un rivoluzionario, che deve sempre guardare dritto in faccia la realtà, per quanto sgradevole possa essere.

La linea ufficiale è quella di incolpare il boicottaggio dell’opposizione e alcune “dure” condizioni metereologiche in alcuni stati, inclusa la capitale, che avrebbero reso il voto più difficile del solito. Ma alla fin fine non si può dare la colpa né il comportamento dell’opposizione né le cattive condizioni metereologiche per la bassa partecipazione elettorale. E’ possibile che molti simpatizzanti di Chavez non sono andati a votare dato che il risultato era scontato. Ma ci sono motivazioni ben più serie per la bassa affluenza. Le masse hanno lanciato un avvertimento ai loro dirigenti. Stanno cominciando a stancarsi di discorsi e parole, parate e slogan. Hanno bisogno di agire per spingere in avanti la rivoluzione, distruggere il potere dell’oligarchia e trasformare le loro vite.

Quelli che pensano che pensano che per difendere la democrazia ed evitare un colpo di stato fascista sia necessario frenare la rivoluzione, fare un passo indietro e concedere qualcosa all’opposizione e all’imperialismo, si stanno sbagliando di grosso. Tattiche del genere servono solo a incoraggiare i controrivoluzionari e a renderli più aggressivi e violenti. La debolezza invita all’aggressione, cosa che può essere dimostrata ad ogni stadio della rivoluzione bolivariana.

Chi ci dice che la rivoluzione bolivariana deve essere frenata assomiglia un po’ a un uomo che taglia il ramo dell’albero su cui è seduto. La ragione per cui diversi settori delle masse sono scontente ( e sarebbe stupido negare che sono scontente) è tutto fuorchè per il fatto che la rivoluzione si sia spinta troppo avanti, troppo velocemente. Al contrario, è perché la rivoluzione non è andata abbastanza avanti e sta procedendo troppo lentamente. Quando la gente vede che l’oligarchia ha ancora in mano le banche, le terre e gran parte delle industrie; quando vedono i soliti vecchi sindaci, governatori e funzionari di Stato seduti ancora sulle loro poltrone, ad arricchirsi e a derubare lo Stato, si chiedono perché cose del genere siano tollerate e a chi giovi veramente la rivoluzione.

Qui sta il vero pericolo! Non è l’opposizione divisa e demoralizzata, che non ha è in grado di vincere una elezione né di organizzare una seria rivolta nelle strade. Non è la stampa reazionaria, che scarica il suo torrente di menzogne e vomito a cui non crede nessuno. Il pericolo è che la rivoluzione possa perdere la sua base tra le masse. Nel momento in cui le masse non sentono che vale la pena difendere la rivoluzione a costo della vita, la rivoluzione è persa, e non importa quanti posti abbia all’Assemblea Nazionale.

E’ il momento di agire!

Nel 1998, il Partito di Azione democratica vinse le elezioni per il controllo del Congresso con l’11,24% dei voti su un elettorato di 10,9 milioni di votanti. Questo partito ricevette 1.240.000 voti. Nelle elezioni del 2000, il Movimento Quinta Repubblica di Chavez ottenne il controllo dell’Assemblea Nazionale con il 17% dei voti, ossia 1.980.000 preferenze su un elettorato di 11,7 milioni di votanti. Nelle elezioni del 4 Dicembre del 2005, i 6 partiti alleati con Chavez ha ricevuto tra il 22% e il 23% di voti su un elettorato di 14,4 milioni di votanti, circa 3,2 milioni di voti. Nel 1998 e nel 2000 nessuno dubitò della “legittimità” dell’Assemblea Nazionale. Eppure ora l’opposizione sta facendo tanto baccano sulla “mancanza di democrazia” di un’assemblea Nazionale, sostenuta da un 22 - 23% dei voti. Perché?

La ragione sta nel fatto che Washington e suoi “ragazzi” in loco temono che Chavez possa approfittare della vittoria elettorale per dare una spinta in avanti al processo rivoluzionario. Con 114 seggi all’Assemblea Nazionale, il MVR controlla poco più dei 2/3 della maggioranza necessari a far passare gli emendamenti costituzionali e ad approvare le nomine chiave. La porta è spalancata per una trasformazione fondamentale. Tecnicamente, non vi è nulla che possa fermare l’Assemblea Nazionale dall’approvare tutte le misure necessarie per portare la rivoluzione oltre un punto di non ritorno. Può essere fatto legalmente. Ma lo farà? Questa è la questione decisiva.

Ciò di cui c’è bisogno è una azione più energica e risoluta per sconfiggere la controrivoluzione e privarla della sua base economica e sociale. Questo è ciò che le masse chiedono ai loro dirigenti. Ma faranno quel che desiderano le masse? O permetteranno di cedere alle pressioni, di farsi intimorire e ricattare dall’imperialismo e dall’oligarchia tramite prevaricazioni, passi indietro e nuovi compromessi con la controrivoluzione, che è un po’ come cercare di trovare la quadratura di un cerchio?

La parola d’ordine della “difesa della democrazia” ha senso solo se significa una lotta senza quartiere per sconfiggere e disarmare quelle forze che attentano alla democrazia - ossia l’oligarchia. Non lo si può fare con bei discorsi all’Assemblea Nazionale sulla meraviglie della democrazia. E’ solo una perdita di tempo e da spazio all’iniziativa alle forze controrivoluzionarie. La difesa della democrazia si può attuare con l’azione rivoluzionaria dal basso delle masse.

Sarebbe un gran brutto errore cercare di arrivare a un compromesso con l’opposizione o cercare punti d’appoggio con gli elementi delle loro file cosiddetti liberali o “ democratici”. Questi sono gli elementi più infidi e dannosi. Se per “difesa della democrazia” si intende spalancare le porte alla controrivoluzione sotto le sembianze di un “fronte unico”, questo non è certo un modo di difendere la democrazia, ma solo di distruggere la rivoluzione. E’ lo slogan della Controrivoluzione in salsa democratica.

I lavoratori, i contadini e i giovani combatteranno contro la reazione fascista con i propri metodi: nella strade, nei posti di lavoro, nella campagne e sulle barricate. Combatterebbero con entusiasmo per difendere l’Assemblea Nazionale se questa cominciasse ad introdurre serie misure per distruggere il potere di latifondisti e capitalisti. L’MVR adesso ha il controllo completo dell’Assemblea Nazionale. Deve usare il suo potere in modo rivoluzionario: faccia passare leggi d’emergenza per espropriare le terre, le banche e le industrie chiave! Quindi faccia appello al popolo e questo risponderà con entusiasmo.

E’ questo quello che chiediamo all’Assemblea Nazionale! Ma non dobbiamo stare ad aspettare l’Assemblea Nazionale o nessun altro. Se siamo seri sulla necessità di combattere la controrivoluzione, è necessario istituire comitati per la difesa della rivoluzione, eletti dai lavoratori, dai contadini e dai settori più poveri delle città, tra gli attivisti più risoluti e attivi. I comitati devono essere collegati a livello locale, regionale, statale e nazionale. Devono discutere un piano d’azione, su come combattere la controrivoluzione e disarmarla. Questo vuol dire che le masse devono essere armate. Se la controrivoluzione riceve armi dal Pentagono, la popolazione deve ricevere armi per difendersi. E’ l’inevitabile logica della situazione.

Data l’estrema debolezza dell’opposizione è inevitabile che cercheranno di infiltrarsi nel Movimento Bolivariano, soprattutto ai vertici. La natura eterogenea del movimento mostra che, oltre a militanti onesti, vi è tutta una sorta di burocrati, carrieristi ed elementi corrotti che si sono aggregati al movimento chavista come manovra per trarne un vantaggio personale. Questi elementi sono il cavallo di Troia attraverso cui il nemico può lavorare per minare la rivoluzione e distruggerla dall’interno.

Ci sono onesti Bolivariani nel governo che stanno combattendo per far progredire la causa dei lavoratori e dei contadini e che sostengono il controllo operaio e la nazionalizzazione. Ma questi sono costantemente frenati dall’ala destra del movimento che cerca di sabotare i provvedimenti del Presidente e di minare la rivoluzione. La lotta per difendere la rivoluzione e per lottare contro la controrivoluzione quindi implica una lotta implacabile contro la Quinta Colonna.

Le masse avevano tutte le ragioni per recarsi a votare. Ma non devono lasciare tutte le decisioni importanti nelle mani dell’Assemblea. I parlamentari bolivariani più onesti nell’Assemblea Nazionale e nel governo sosterranno i lavoratori. Ma gli elementi a favore del capitalismo resisteranno con ogni mezzo. I lavoratori e i contadini del Venezuela devono essere preparati a mobilitarsi per sconfiggere i “Bolivariani” sostenitori del capitalismo e per garantire che l’Assemblea Nazionale attualmente porti avanti le rivendicazioni del popolo rivoluzionario. Si potrebbero organizzare manifestazioni di massa per fare pressioni sull’Assemblea Nazionale e manifestare la volontà popolare.

La questione centrale che la rivoluzione deve dirimere è la questione dello stato. Molto tempo fa Marx spiegò come sia impossibile per la classe lavoratrice portare avanti al trasformazione socialista della società semplicemente prendendo il controllo dello stato borghese esistente. E’ davvero concepibile che i lavoratori e i contadini del Venezuela possano realizzare i loro obiettivi mentre i vecchi funzionari di stato, i burocrati e altri elementi riciclati dalla vecchia e sfiduciata Quarta Repubblica rimangono al loro posto? Queste domande si rispondono da sé.

I lavoratori hanno votato per un governo Bolivariano - che è come dire che hanno votato per un cambiamento fondamentale nella società. Si aspettano che la nuova Assemblea Nazionale prenda misure decisive nei loro interessi. Non può esserci scusa alcuna per non prendere queste misure in fretta. La chiave della situazione è il movimento indipendente dei lavoratori, che si basa sulle proprie organizzazioni e sul proprio istinto di classe.

I lavoratori possono contare solo sulle proprie forze, sulle proprie energie e sulle proprie organizzazioni. La vittoria del 4 Dicembre apre una fase nuova e decisiva nella rivoluzione - ma solo se le masse sappiano trarre i vantaggi e prendere il controllo del movimento rivoluzionario nelle proprie mani. Devono esercitare una continua pressione per approfondire la rivoluzione su tutti i fronti.

Mesi fa il Presidente aveva letto una lunga lista di fabbriche che erano state abbandonate dai propri padroni o che lavoravano sotto capacità produttiva. Queste fabbriche dovrebbero essere occupate e gestite sotto il controllo dei lavoratori. I lavoratori rivendicano che l’Assemblea Nazionale proceda all'esproprio, insieme alle terre e alle banche, e istituisca un piano socialista e democratico di produzione. E’ l’unico modo per portare in avanti la rivoluzione e renderla finalmente irreversibile. Questo, e questo soltanto, è quello che si intende per “ rivoluzione nella rivoluzione!”.

19 dicembre 2005.