Israele si ritira da Gaza

Italian translation of Israel pulls out of Gaza (January 19, 2009)

Israele si sta ritirando da Gaza, dopo una tregua provvisoria con Hamas. Il ritiro è iniziato domenica sera e sta procedendo in maniera graduale oggi: Israele ed Hamas hanno infatti deciso un cessate il fuoco unilaterale domenica, quando il Primo ministro israeliano Olmert ha detto che Israele non vuole mantenere una propria presenza militare all’interno della striscia e neppure riconquistare il territorio.

In un articolo recente (The invasion of Gaza: what does it mean?, in inglese) ho sottolineato che l’intenzione dell’imperialismo israeliano non era quella di occupare Gaza ma quella di infliggere il maggior danno possibile ad Hamas, terrorizzare la popolazione e poi ritirarsi, ed è proprio che quello che sta succedendo.

Olmert ha spiegato ai capi di governo europei in visita a Gerusalemme domenica pomeriggio che Israele aveva intenzione di ritirare le proprie truppe quando la situazione tra Gaza e Israele si fosse “stabilizzata”.

“Non volevamo conquistare Gaza, non vogliamo rimanerci e vogliamo lasciare la Strscia il più presto possibile.” Ha detto Olmert ad una cena con i leaders di Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Italia e Repubblica Ceca. Questa decisone provocherà un certo sollievo nelle capitali occidentali dove, nonostante ci fosse una certa simpatia per le preoccupazioni di Israele riguardo la propria sicurezza, si era palesato un certo allarme per il numero crescente di vittime civili e per gli effetti destabilizzanti nei paesi arabi vicini.

Chi esce sconfitto, come sempre, è la gente comune. Nella guerra devastante durata tre settimane, è stato inflitto un danno terribile alla popolazione. Le truppe ed i carri armati che sono entrati all’interno della Striscia il 3 gennaio hanno avuto a disposizione due settimane in cui hanno polverizzato Gaza che era già stata danneggiata molto seriamente da bombardamenti aerei selvaggi. I Palestinesi, sconvolti dalle bombe, avranno ora tempo per rendersi conto della situazione: la guerra ha aggiunto un pesante tributo di vittime umane ad un territorio già impoverito.

Quando i palestinesi usciranno dai loro nascondigli e constateranno la distruzione portata alle loro case, l’ultima cosa che vorranno sarà la continuazione dei combattimenti che hanno già portato via le vite di oltre 1300 abitanti di Gaza. Ad essi se ne aggiungeranno probabilmente altri, visto che le infrastrutture e gli ospedali di questa terra già povera sono stati devastati e il suo governo e la sua amministrazione sono a pezzi.

Nonostante questi dati di fatto evidenti a tutti, Hamas ha annunciato una “vittoria di Popolo” contro Israele. “Il nemico non è riuscito a raggiungere i propri obiettivi” ha dichiarato Ismail Haniyeh, a capo del governo della striscia di Gaza, in un discorso. La decisione di Hamas di dichiarare la tregua era condizionata dal ritiro di Israele entro una settimana. Ciò è stato “saggio e responsabile” ha aggiunto.

Queste parole ardite non riflettono la situazione reale. Gli israeliani si ritirano perché hanno raggiunto il loro obiettivo immediato, che avevo sottolineato in un mio articolo: “La loro intenzione è di portare avanti un attacco limitato che possa danneggiare seriamente la capacità militare di Hamas e che uccida il maggior numero di suoi dirigenti e miliziani prima di ritirarsi avendo inflitto il danno massimo possibile all’economia ed alle infrastrutture di Gaza: la ricostruzione richiederà molto tempo.” È proprio quello che è avvenuto.

In un tentativo di dimostrare che era ancora capace di opporre qualche tipo di resistenza, Hamas ha lanciato circa 20 razzi verso il deserto del Negev domenica scorsa, dopo che la tregua era stata annunciata al mondo. Ma questi missili hanno avuto l’effetto di una puntura di spillo e non hanno condizionato minimamente i piani di Israele. Ehud Olmert li ha considerati, insieme alle dichiarazioni di Hamas sulla vittoria, per quello che effettivamente sono: gesti vuoti. Il primo ministro israeliano ha dichiarato che la missione era compiuta e nessuno può dubitare che lo abbia detto a ragion veduta, almeno per quanto riguarda gli obiettivi militari a breve termine. Contro la potenza dello stato israeliano e l’offensiva lanciata via aria mare e terra dal 27 dicembre, possono fare ben poco dei piccoli missili fatti in casa.

La decisione israeliana di ritirarsi non è per nulla influenzata da ciò che Hamas fa o dice. Hamas ha già detto che smetterà di lanciare i suoi missili “quando l’ultimo soldato israeliano avrà lasciato Gaza” ma in realtà saranno costretti a fermare gli attacchi a causa del fatto che la loro capacità militare è stata seriamente colpita. Inoltre una spada di Damocle rimane sulla testa della popolazione di Gaza: se gli attacchi palestinesi ricominciassero, Israele non esiterebbe ad intervenire di nuovo.

Israele avvolge Gaza in una stretta di ferro. Una radio israeliana ha annunciato che Israele farà passare 200 camion con aiuti umanitari diretti verso Gaza. Ma le frontiere possono essere chiuse e riaperte come un rubinetto: sia dal punto di vista economico che da quello militare, Israele ha in mano tutte le carte.

Così che cosa si è raggiunto dal punto di vista dei palestinesi? La situazione attuale di Gaza rimane quella che era prima del conflitto: un paese piccolo e senza possibilità di una vita autonoma di un milione e mezzo di persone che rimane stretto da un blocco di ferro, la cui economia era stata lentamente strangolata già prima dell’invasione. Ora è distrutto e le prospettive per il futuro della popolazione sono molto cupe.

Secondo l’Ufficio statistico palestinese, circa 400 edifici residenziali sono stati ridotti in rovine durante il conflitto. Diplomatici occidentali hanno detto che i costi totali per la ricostruzione ammonteranno ad almeno 1.6 miliardi di dollari.

All’interno di Israele, che ha perso un totale di dieci soldati nella guerra (  tre civili a causa degli attacchi missilistici) la guerra è stata molto popolare ed ha aumentato le possibilità del ministro degli esteri Tzipi Livni e di quello della Difesa Ehud Barak rispetto alle elezioni del 10 febbraio. Allo stesso tempo la guerra ha alimentato i sentimenti sciovinisti ed ha aumentato l’appoggio per la destra di Benyamin Netanyahu, che secondo i sondaggi dovrebbe vincere facilmente questa tornata elettorale. Ricordiamoci che quest’ultimo si era opposto fermamente al ritiro di Israele nel 2005 da Gaza dopo 38 anni, argomentando che avrebbe rafforzato l’ala dura dei palestinesi.

La guerra ha anche minato la credibilità del presidente palestinese Mahmoud Abbas, appoggiato dall’occidente, che ha cercato di negoziare a tutti i costi la pace con Israele, approfondendo così le divisioni già esistenti tra i palestinesi, che si sentono depressi e disorientati.

Durante i colloqui con i mediatori egiziani, Hamas ha chiesto ufficialmente l’apertura di tutti i confini di Gaza per fare entrare generi alimentari e di prima necessità. È possibile che venga fatta qualche concessione a riguardo visto che anche l’Ue ha fatto pressione su Israele perché apra i confini per gli aiuti prima possibile.

Olmert ha ribadito che vuole che Israele si ritiri da Gaza prima possibile e il suo portavoce, Mark Regev ha detto che “enormi quantità” di aiuti potranno entrare le persiste la tranquillità. Ma a certe condizioni, come vediamo da queste parole. “ Se persiste la tranquillità” significa: finchè Hamas sarà neutralizzata e resa impotente dal punto di vista militare.

Nelle scorse settimane i governi occidentali sono stati ben contenti di stare a guardare, fregandosi le mani e piangendo lacrime di coccodrillo mentre la popolazione di Gaza era sottoposta ad un feroce bombardamento. La realtà è che questi governi come quelli dei cosiddetti Stati arabi moderati (vale a dire filoamericani) volevano vedere la distruzione di Hamas e non avevano fretta di fermare Israele nel portare a compimento questo obiettivo. Ora che la macchina militare israeliana ha raggiunto i propri fini ed ha deciso di ritirarsi, è cominciata una girandola di iniziative diplomatiche. Gli Usa, l’Egitto e i paesi europei ora vogliono la pace: in altri termini vogliono impedire il riarmamento di Hamas.

Questa è la condizione che gli Israeliani esigeranno e che sono determinati ad ottenere. Il ministro alla sicurezza pubblica Avi Ditcher ha minacciato una risposta militare nel caso che riprenda l’invio di armi nella striscia di Gaza, spiegando che Israele lo considererebbe un attacco al suo teritorio. Così possiamo aspettarci di vedere misure, ancora non specificate, per fermare il contrabbando di armi fra la frontiera tra Egitto e Gaza, azioni a cui l’Egitto sarà ben felice di contribuire. Ditcher ha affermato a Radio Israele: “Ciò significa che, se riprendesse il contrabbando, Israele lo considererebbe al pari di un attacco militare.”

I tempi del ritiro sono significativi e confermano quanto detto in precedenza. In un mio articolo ho spiegato che era intenzione di Israele di attaccare Gaza prima che Obama sostituisse Bush il 20 gennaio. Il messaggio era rivolto a Washington, perché non stipulasse alcun accordo con gli arabi sgradito ad Israele. Avendo reso molto chiaro il loro punto di vista le truppe israeliane si ritirano per non causare un imbarazzo non necessario all’inquilino della Casa Bianca.

La cosa è stata ammesso dall’agenzia di stampa Haaretz, che ha scritto ieri “Funzionari israeliani hanno detto che le truppe si ritireranno completamento prima dell’investitura a Presidente degli Usa di Barack Obama il prossimo martedì. I funzionari hanno voluto mantenere l’anonimato perché il piano non era stato ancora reso pubblico.” (mio corsivo, AW)

Martedì il presidente eletto presterà giuramento e tutti confidano che BarackObama risolverà questo problema. Per la verità, la gente si rivolge ad Obama per risolvere tutti i problemi del mondo, un compito difficile anche per l’Onnipotente. Obama crede nell’Onnipotente ma sta già cercando di spiegare ai cittadini americani che non ha il potere di fare i miracoli. Peccato che questo è proprio quello che la gente si aspetta da lui.

“L’obiettivo rimane un cessate il fuoco pieno e duraturo che porti alla stabilizzazione ed alla normalizzazione di Gaza”, ha detto il Segretario di Stato Condoleeza Rice. Una portavoce di Obama ha detto che quest ultimo accoglieva favorevolmente la tregua e che si sarebbe pronunciato sulla situazione a Gaza dopo l’investitura.

La principale priorità di Obama è quella di rafforzare la propria posizione all’interno degli Usa, ritirando le truppe dall’Iraq il prima possibile. Ha bisogno di farlo (come ha bisogno di altri gesti popolari) nel primo periodo della sua amministrazione per preparare il terreno a tagli profondi al tenore di vita degli americani che sarà obbligato a portare avanti. La sua presenza ad una cerimonia funebre in onore di un soldato morto in Iraq non è stata a caso. Voleva dire all’opinione pubblica: “Bush vi ha portato in questa guerra, ma non vi preoccupate: io vi tirerò fuori.”

Tuttavia, come spiegato in un mio articolo, per ritirarsi dall’Iraq gli americani devono avviare colloqui con Siria ed Iran ed in questi negoziati (che si terranno dietro porte ben chiuse, lontano dalla vista dell’opinione pubblica) il destino dei palestinesi sarà deciso. L’invasione di Gaza è stata parte di questi negoziati, simili ad un gioco a scacchi dove intere nazioni sono trattate come pedine affinché le potenze imperialiste potessero raggiungere i propri principali obiettivi.

Il popolo palestinese non si può aspettare un bel nulla da “amici” come Obama o dai governi dell’Unione europea. Ancor meno si può aspettare dai governi arabi “amici” che, o hanno paura dei palestinesi per le ripercussioni della loro lotta nei propri paesi o perché usano la causa palestinese come una pedina nel loro gioco a scacchi diplomatico.

La questione palestinese non sarà risolta lanciando missili o inviando attentatori suicidi a farsi esplodere su un bus in Israele, come crede Hamas. E non sarà risolta nemmeno da Abu Mazen, che con la scusa di negoziare la pace sta svendendo i palestinesi ad Israele ed agli imperialisti. La questione può essere risolta all’interno della lotta rivoluzionaria delle masse tesa al rovesciamento dei regimi arabi filooccidentali marci, che stabilisca dei governi operai e contadini nel Medio oriente.

Come il problema delle nazionalità in Russia fu risolto quando i lavoratori e i contadini presero il potere, così in Medio Oriente la questione nazionale palestinese, curda e degli altri popoli oppressi può essere risolta solo attraverso la conquista del potere da parte dei lavoratori e lo sviluppo di una federazione socialista. L’unico modo di sfidare l’imperialismo israeliano è quello di operare una rottura tra i lavoratori ed il sionismo, e ciò può essere ottenuto solo sulla base di una politica di classe rivoluzionaria. Ogni altra strada porterà solo ad una crescita dell’odio nazionale e dello sciovinismo, a nuovi massacri, a guerre e spargimenti di sangue. Nel passato i palestinesi avevano una forte tradizione socialista. Oggi quella tradizione è l’unica salvezza.

19 gennaio 2009

Source: FalceMartello