La lotta degli studenti cinesi contro il “lockdown formalista”.

Nell’ultima settimana gli studenti universitari di tutta la Cina si sono scontrati apertamente contro le amministrazioni degli atenei, che li hanno di fatto confinati nei loro campus in nome del rispetto delle norme di sicurezza emanate dal governo in relazione al coronavirus. Queste proteste si sono diffuse a macchia d’olio, dalla capitale Pechino al Fujian a sud, alla Mongolia interna a nord e oltre, coinvolgendo migliaia di campus.


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Le misure di blocco decise degli atenei potrebbero impedire a milioni di studenti cinesi di lasciare le strutture universitarie, soprattutto a coloro che devono vivere nei campus. Molti hanno dovuto fare affidamento sulle consegne di cibo a domicilio, che sono molto difficili da ricevere perché vengono applicate severe misure “anti contatto”. Alcuni hanno riferito che le biblioteche universitarie e altre strutture sono accessibili solo su appuntamento.

Pur avendo ricevuto l’ordine di sopportare tali restrizioni draconiane, gli studenti hanno notato che le stesse regole non si applicano al personale, che ha il permesso di entrare e uscire liberamente dagli atenei. È opinione diffusa che tali provvedimenti derivino da un approccio sciatto e unilaterale da parte delle università, che stanno attuando queste misure inutili a scapito degli studenti per dimostrare al governo che si attengono alle sue istruzioni. Per questo motivo, molti studenti che protestano chiamano questa farsa un “blocco formalista”.

Molte università sembrano cogliere questa opportunità anche per spremere più denaro dai loro studenti. In molti atenei, le mense, i negozi di alimentari, persino i barbieri all’interno dei campus hanno aumentato i loro prezzi, sapendo che gli studenti non hanno nessun altro posto dove fare acquisti.

Con l’affievolirsi della minaccia pandemica in Cina, molte aziende che operano nel settore dei servizi come i cinema ed i ristoranti sono già tornate ad operare regolarmente. Eppure, i campus universitari continuano a mettere in atto severe misure di blocco a scapito degli studenti, mentre gli amministratori scolastici si affannano a rispettare le vaghe disposizioni in merito alla sicurezza igienico-sanitaria emanate dal Ministero dell’Istruzione in agosto. Queste istruzioni sono presumibilmente il risultato di discussioni online tra le università pubbliche e lo stato su come riaprire le università.

Il maldestro lockdown a scapito degli studenti degli atenei di tutta la Cina non poteva che essere interpretato come un tentativo di trarre profitto dalla situazione. Il malcontento si è diffuso nelle università cinesi e c’è stata una esplosione di manifestazioni.

Il 20 settembre, gli studenti dell’Università di Studi Internazionali di Xi’an (西安外国语大学) nella provincia centrale dello Shaanxi hanno iniziato una protesta dimostrativa di 30 minuti a mezzanotte, chiedendo la riapertura dell’università (vedi video qui sotto).

Il 21 settembre anche gli studenti della Hefei University of Technology nella provincia sudorientale di Anhui hanno iniziato una protesta, chiedendo la fine dell’isolamento e mettendo in discussione i doppi standard dell’università nei confronti di studenti e personale.

Poi, il 23 settembre, c’è stato uno scontro tra gli studenti e la sicurezza dell’ateneo ai cancelli della Sichuan University of Media and Communications di Chengdu, in Sichuan. In seguito a ciò, si sono viste ondate di proteste in molti campus di Chengdu (vedi sotto).

Un’anticipazione delle lotte che verranno

Non c’è dubbio che le proteste si intensificheranno e sempre più studenti di diverse università si uniranno a questo movimento, poiché la cattiva amministrazione è un fenomeno diffuso in tutti gli atenei cinesi. Al momento in cui scriviamo, sul web cinese stanno emergendo sempre più segnalazioni di proteste simili a queste.

In questa fase, sembra che la notizia di queste proteste non sia stata censurata. Ciò può essere dovuto al fatto che la velocità e l’intensità delle dimostrazioni fa sì che lo stato non riesca a reprimerle in prima istanza. Tuttavia, la maggior parte dei rapporti su questo fenomeno attribuisce agli amministratori delle università l’intera responsabilità di realizzare soluzioni “formaliste” o di implementare soluzioni “generalizzate”, riducendo la questione a un problema legato ad un errore individuale.

Il fatto che la stessa politica sia stata attuata dalle università di tutta la Cina nelle più svariate circostanze dimostra che è in gioco un processo sistemico su vasta scala. I giovani fungono sempre da barometro per il resto della società, riflettendo il reale stato d’animo che si sta sviluppando tra i lavoratori e le classi povere sotto la superficie. Il malcontento accumulato nei confronti della dittatura del PCC e dell’infinita miseria del sistema capitalistico si sta chiaramente avvicinando ad un livello in cui deve trovare una via d’uscita. Queste proteste degli studenti universitari sono solo un’anticipazione delle lotte più grandi che verranno.

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