È la miseria l’unico destino possibile per l'Afghanistan?

Gli strateghi seri dell’imperialismo statunitense comprendono che una vittoria militare in Afghanistan è da escludersi. Allo stesso tempo, Russia, India, Cina e altre potenze stanno manovrando per trarre vantaggio dalla situazione. Tutto questo è il risultato della sconfitta reazionaria della Rivoluzione Saur del 27 aprile 1978 (Saur è il secondo mese del calendario persiano, corrispondente al nostro aprile, ndt) . Adesso, in ogni caso, la memoria di quel periodo sta tornando tra i lavoratori e i giovani, che sono alla ricerca di un’alternativa sia al fondamentalismo reazionario che al regime attuale.

“La posizione geografica dell’Afghanistan e il carattere particolare del suo popolo, messi insieme, danno a questo Paese una tale importanza nelle vicende dell’Asia centrale che non si potrà mai sopravvalutarla”. (Fredrick Engels 1820-1895)

Come in altri punti caldi del pianeta, l’importanza geo-strategica dell’Afghanistan è diventata una maledizione piuttosto che una benedizione per il suo popolo. Per secoli l’Afghanistan è stato il campo di battaglia di guerre a distanza, insurrezioni e del cosiddetto “Grande Gioco”, in cui le potenze imperialiste si sono combattute per il controllo dell’Asia centrale. Nel passato il conflitto venne combattuto tra Gran Bretagna e Russia. Ora la Russia è nuovamente coinvolta in intrighi con le popolazioni Tajik e Uzbek nel nord. L’Iran sta estendendo la sua influenza sulla popolazione di lingua Dari (il persiano parlato in Afghanistan, ndt)e sugli sciiti. La Cina non aspetta altro che poter sfruttare le risorse minerarie dell’Afghanistan, dove possiede le più grandi miniere di rame del mondo. Ultima ma non ultima, anche l’India sta intervenendo attivamente, aggravando il conflitto con il Pakistan, che considera l’Afghanistan come il proprio cortile di casa. Questo panorama delle politiche ciniche delle potenze regionali potrebbe prevedibilmente portare nel futuro alla rottura dell’Afghanistan nelle sue parti costitutive. Questo sfortunato Paese si trova nella morsa di una brutale invasione capitalista e si trova impantanato in una sanguinosa guerra di logoramento senza una fine in vista.

L’aggressione imperialista non è riuscita a instillare alcun ottimismo nell’opinione pubblica occidentale né ad alleviare le sofferenze delle masse afghane. Le elezioni del “Loya Jirga” (parlamento) lo scorso 18 settembre non hanno risolto nulla. Il quadro difficilmente potrebbe essere più desolante. Un’economia fondata sul traffico di droga e guidata da terribili signori della guerra, la brutale aggressione imperialista, la corruzione onnipresente e la ferocia degli oscurantisti Taliban: questa è la realtà dell’Afghanistan oggi.

Eppure non è stato sempre così. Ci furono tempi in cui Kabul era conosciuta come “la Parigi dell’Oriente”. La vittoria sui britannici nella terza guerra anglo-afghana del 1919 pose fine a circa un secolo di incursioni imperialiste e fu ottenuta una sia pur precaria forma di sovranità nazionale. La Russia sovietica, sotto la guida di Lenin e Trotskij, fu il primo Paese a riconoscere l’Afghanistan come una nazione indipendente. Tuttavia questa indipendenza ebbe vita breve e la Dinastia Nadir impose la monarchia nel 1929.

La guerra attuale non è iniziata con l’invasione americana dell’Afghanistan nel 2001. Questa aggressione dura da più di trentadue anni. Il colpo di stato militare di Muhammad Daoud nel 1973 rappresentò gli interessi dei grandi proprietari terrieri e della borghesia. Ricevette aiuto dall’imperialismo statunitense e dalla burocrazia stalinista di Mosca. Entrambe le potenze cercarono di corteggiare il regime autocratico di Daoud durante la Guerra Fredda.

Il PDPA (Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan) fu costituito al congresso unitario delle diverse fazioni del Partito Comunista dell’Afghanistan il primo gennaio 1965. Il 17 aprile 1978 Mir Ali Akbar Khyber fu assassinato dal regime Daoud nella prigione di Pul-a-Charkhi a Kabul. I cortei spontanei di protesta che sorsero a Kabul con più di diecimila persone scossero il regime repressivo. Daoud stava progettando di uccidere gli altri principali leader del PDPA che marcivano in prigione.

Il PDPA non aveva altra alternativa che reagire e così il 27 aprile 1978 gli ufficiali dell’Esercito e dell’Aviazione afghani appartenenti al PDPA rovesciarono l’oppressivo regime Daoud con un sanguinoso colpo di stato. Le mura della prigione di Pul-a-Charkhi vennero bombardate dalle forze corazzate e i leader del PDPA furono liberati. Venne proclamata la Repubblica Democratica di Afghanistan e furono formati un consiglio rivoluzionario e un nuovo governo, guidato da Noor Muhammad Taraki, Segretario generale del PDPA.

Uno dei primi decreti emanati dal Consiglio Rivoluzionario fu la messa al bando totale della compravendita di donne. Le donne nell’Afghanistan pre-rivoluzionario erano private di ogni diritto. Erano essenzialmente un oggetto il cui acquisto era appena mascherato dall’istituto della dote risalente alla società afghana pre-feudale. Eppure questi atti barbari sono ancora oggi assai diffusi in Afghanistan, non solo nelle aree controllate dai Talebani ma anche in quelle soggette alla “democrazia” imposta dall’imperialismo.

Nel luglio 1978 il Decreto n. 6 cancellò tutti i debiti nei confronti dei proprietari terrieri e degli usurai. Questo significava che, con un semplice tratto di penna, oltre 11 milioni e mezzo di persone – l’80% della popolazione rurale – non erano più soggetti al ricatto degli usurai. Il nuovo governo portò avanti anche una riforma agraria. Il 5% della popolazione possedeva i tre quarti di tutte le terre coltivate. Nell’autunno 1979 tutte queste terre vennero espropriate e concesse a più di trecentomila contadini senza terra.

Venne abolito anche il ruolo degli intermediari nell’agricoltura. Fu indetto il primo censimento. Vennero presi provvedimenti radicali per migliorare le condizioni sanitarie, abitative, il rifornimento di cibo e per eliminare la disoccupazione. Più di seicento scuole e istituzioni educative di livello più alto furono introdotte nel 1978-79. Ottocentomila operai e contadini cominciarono a frequentare corsi di alfabetizzazione. Grandi quote di capitale e di proprietà della borghesia imperialista e di quella “nazionale” vennero nazionalizzate.

Naturalmente, il nuovo governo rivoluzionario era visto come una minaccia dagli imperialisti. Tra le molte calunnie scagliate contro la Rivoluzione Saur (primavera) c’era quella che sarebbe stata “sponsorizzata dall’Unione Sovietica”. Questo era totalmente falso, come perfino alcuni dei media occidentali fu costretto ad ammettere. Ad esempio, il magazine Time scrisse nel suo numero del 28 gennaio 1980:

“Il colpo di stato marxista con cui Noor Muhammad Taraki ha rovesciato Daoud nell’aprile 1978 ha sorpreso tanto i sovietici quanto gli americani. Lo spionaggio occidentale non è riuscito a trovare segni di un intervento russo sulla scena della ‘Rivoluzione di Aprile’.”

In un discorso pronunciato il 9 aprile 1979 Taraki disse: “Nella Rivoluzione di Aprile non sono state coinvolte forze esterne. L’Afghanistan non importa né esporta la rivoluzione … Ha intrapreso un nuovo corso, quello di costruire una società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.

I passi radicali avviati nei primi mesi dopo la rivoluzione ebbero un impatto enorme, specialmente nell’Asia meridionale, centrale e occidentale. L’imperialismo era terrorizzato dalle potenziali ripercussioni nell’intera regione. Questa è la vera ragione per cui la CIA mise in atto la più massiccia operazione sotto copertura della storia contro la Rivoluzione Afghana. Quello fu il momento in cui iniziò la guerra che continua tutt’oggi, con l’insurrezione reazionaria che fu organizzata dall’imperialismo sotto la bandiera della “Jihad Islamica”.

Il Washington Post scrisse il 15 febbraio 1980:

“Le più importanti commissioni del Congresso responsabili per la supervisione sulle attività sotto copertura sono state tenute informate delle azioni dal Dipartimento di Stato e dalla CIA … Questi affari clandestini potrebbero infine sollevare interrogativi sul fatto se l’aiuto segreto ai ribelli, mentre complica le cose e blocca le forze russe, possa tuttavia anche ritardarne la partenza, ciò che rappresenta l’obiettivo dichiarato del Governo.”

I principali esecutori di questa operazione segreta della CIA per rovesciare il governo di sinistra di Kabul furono la dittatura di Zia in Pakistan e la monarchia saudita. La “jihad del dollaro” venne lanciata direttamente dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente Carter, Zbigneiv Brzezinski, nell’autunno del 1978 al Passo Khyber. Fu quest’ultimo a reclutare Osama bin Laden per questa “guerra santa”. Quando venne lanciata, gridò perfino “Allah-o-Akbar” assieme ai fondamentalisti.

In ogni caso, l’impreparazione ideologica e la confusione e la ristretta prospettiva nazionalista della dirigenza del PDPA ostacolò la formulazione e l’esecuzione di una politica di classe, rivoluzionaria e internazionalista, per combattere e sconfiggere l’insurrezione imperialista. L’ideologia dei leader del PDPA era dominata più da tendenze nazionaliste che dall’internazionalismo marxista. Questo rifletteva il loro retroterra e la loro educazione stalinista.

Cercare di guadagnare sostegno alla rivoluzione sulla base del nazionalismo Pushtoon (e di altre etnie) era un’operazione destinata al fallimento. Non appena salì la pressione della base rivoluzionaria, all’interno della direzione del PDPA scoppiarono guerre intestine, che riflettevano anche divisioni su linee nazionali ed etniche. Come conseguenza, Taraki venne assassinato e i carrarmati russi penetrarono in Afghanistan, attraversando il fiume Oxus e spostandosi attraverso il Passo di Salang. Questo mutò l’intera dimensione del conflitto.

Quel che sarebbe successo in seguito fu previsto soltanto dai marxisti. Nel giugno 1978, appena poche settimane dopo la Rivoluzione Saur, Ted Grant scrisse:

“Se [i leader del PDPA] temporeggiano, magari sotto l’influenza del regime russo, prepareranno la strada per una feroce controrivoluzione basata sulla nobiltà minacciata e sui Mullah. Se avrà successo, la controrivoluzione ripristinerà il vecchio regime sulla pelle di centinaia di migliaia di contadini, il massacro degli ufficiali rivoluzionari e lo sterminio quasi completo dell’elite più istruita”.

Questa straordinaria previsione è stata messa in atto alla lettera nel periodo seguente. I Talebani hanno preso Kabul nel 1996 con l’assistenza degli Stati Uniti. La persona che principalmente ha orchestrato la “conquista di Kabul” da parte dei Talebani sotto il Mullah Omar è l’ex sottosegretario di stato degli USA, Robert Oakley. Ha agito in connivenza con il governo Benazir e i servizi segreti del Pakistan (l’ISI).

Dopo il ritiro delle truppe sovietiche nel 1987, gli americani hanno abbandonato l’Afghanistan alla mercé delle forze reazionarie che essi avevano creato. Queste hanno generato caos e distruzione in questa terra infelice. Ma nel 2001 il mostro di Frankenstein che avevano costruito gli si è rivoltato contro. Questo è ciò che ha portato all’occupazione imperialista dell’Afghanistan, che ha portato devastazione assoluta e miseria alle masse già impoverite.

Dopo quasi nove anni di occupazione diretta, gli americani si devono confrontare con la sconfitta. Il gruppo di esperti “Stratfor” costituito dal precedente staff della CIA, nel suo ultimo rapporto del 6 settembre fa la stupefacente ammissione che segue:

“(è) assolutamente certo che l’America non riporterà una vittoria in Afghanistan in alcun senso convenzionale… i Talebani dovranno probabilmente far parte di qualunque risoluzione che possa precedere il ritiro dell’America.”

Avvertendo la debolezza della coalizione dominata dagli Stati Uniti, il controverso presidente afghano Hamid Karzai si è trasformato da un fantoccio di Washington in un aperto critico degli USA. Per mantenere la propria posizione è pronto ad accettare il controllo talebano su alcune delle sue roccaforti locali. Washington è allarmata dai termini dell’accordo di pace che Karzai sta sviluppando attualmente. Il Pentagono, il Dipartimento di Stato e la CIA sono fortemente divisi sul progetto di questo “accordo negoziato”.

La Casa Bianca è in cerca di una via d’uscita che le salvi la faccia. Ma le condizioni sul territorio escludono un tale esito. Gli alleati NATO dell’America non hanno intenzione di trattenersi. Il popolo americano desidera il ritiro. Ma il Pentagono non se lo può permettere. Il comandante generale degli USA Petraeus ha fatto forti pressioni su Obama affinché rimandi ogni ritiro massiccio delle truppe ben dopo il periodo di luglio 2011 auspicato dal presidente. Apparentemente Obama sta facendo marcia indietro sulla scadenza. Gli strateghi e le forze armate statunitensi si trovano in un guaio da loro stessi creato. Non possono permettersi di ritirarsi, ma non possono nemmeno sostenere una guerra così terribilmente costosa e sanguinosa. Come Howard Hart, ex capo area della CIA, ha detto a Nicholas Kristof del New York Times: “Il problema è proprio la presenza delle nostre forze. Più truppe mettiamo, maggiore è l’opposizione”.

Ciò che i media occidentali nascondono è che i Talebani e Al Qaeda non sono la sola opposizione. Ignorano la crescente marea di manifestazioni di massa che hanno al centro problemi sociali ed economici tenutesi nella maggior parte delle grandi città dell’Afghanistan. Numerosi elementi di sinistra, nazionalisti e altri sono coinvolti nella resistenza nazionale contro l’occupazione straniera. Le manifestazioni di protesta nelle città dell’Afghanistan stanno crescendo per frequenza e militanza. Più devastazione infliggono le forze d’occupazione, più forte diventerà la resistenza.

C’è il timore in alcuni quartieri che il ritiro delle truppe della NATO possa portare all’anarchia e a una sanguinosa guerra civile. Altri chiedono quante altre carneficine e devastazioni potranno accadere oltre a quelle che vengono già inflittedalle forze d’occupazione. I Talebani reazionari stanno usando questo come alibi per assassinare e aggredire persone innocenti.

Nella disperazione, gli imperialisti potrebbero considerare l’ipotesi di frammentare il paese per fare spazio a una “via d’uscita elegante”. Ci sono tensioni etniche tra la maggioranza Pushtoon (44%) e i Tajiki (27%), gli Uzbeki, gli Hazara e altre minoranze nel nord che, come abbiamo fatto notare, vengono esacerbate e sfruttate dai poteri stranieri. Questi conflitti nazionali significano che la balcanizzazione del paese non è completamente esclusa. Ma non è la prospettiva più probabile a breve termine. Se gli imperialisti dovessero imbarcarsi in questa strategia, ci sarebbe un bagno di sangue ancor più raccapricciante in Afghanistan.

La possibilità di raggiungere una stabilità sotto l’occupazione diminuisce ogni giorno, perfino ogni ora. È possibile che il generale McChrystal abbia deliberatamente provocato la propria rimozione in previsione di una sconfitta imminente. Il suo successore Petraeus non ha abbassato il numero delle perdite sia civili che militari, né ha riportato qualche significativo guadagno dalla guerra. L’Associated Press ha riportato una sua affermazione del 4 settembre: “non si può ottenere con morti o prigionieri la propria via d’uscita da un’insurrezione di forza industriale”.

Le elezioni della Loya Jirga (un’assemblea tribale pre-medievale) si sono tenute il 18 settembre e sono state truccate quanto quelle presidenziali. Questa farsa parlamentare è un tentativo disonesto degli imperialisti e dei loro tirapiedi di guadagnare credibilità agli occhi del pubblico occidentale. È teso a procurare un qualche tipo di giustificazione per un’avventura che è andata a finire terribilmente male. L’unica scelta per le masse afghane in queste elezioni era tra diversi signori della guerra in guerra tra loro e criminali. Sono assassini e mercenari che hanno fatto milioni con questa guerra attraverso il traffico di droga, i rapimenti con richiesta di riscatto e il ricatto basato sul cambiamento di fazione. Queste elezioni non risolveranno niente.

In Afghanistan il capitalismo non può sviluppare la società o migliorare la sorte dei milioni di poveri. Sotto le presenti relazioni mafioso-capitaliste non può essere stabilita un’economia nazionale neppure formalmente, per non parlare delle altre incombenze della rivoluzione democratica nazionale. L’intera economia è basata sugli aiuti stranieri e sul traffico di droga. In questa narco-economia, con il 70% di analfabetismo, un tessuto sociale a pezzi, una dominazione oscurantista medievale, la povertà estrema, la miseria e le malattie, nessuna organizzazione “democratica” sponsorizzata e creata dall’imperialismo potrebbe mai funzionare. “Ricostruzione”, “sviluppo” e “prosperità” sono parole vuote che non hanno alcuna relazione con la realtà. In questo pantano di contraddizioni esplosive, non c’è via d’uscita. L’Afghanistan non può superare i conflitti etnici, gli sbilanci dell’economia, l’instabilità cronica, le guerre, lo spargimento di sangue e le privazioni senza una completa rottura col passato.

Il quadro dipinto in occidente degli afghani come un popolo di fanatici islamici che appoggiano i Talebani è completamente falso. Le forze oscure del fondamentalismo e i democratici liberali corrotti non hanno nessuna presa sulle masse e ci sono gli inizi di una significativa ripresa delle forze di sinistra. C’è stata una ripresa del PDPA che ha tenuto un congresso di recente a Kabul. Anche altri partiti di sinistra sono tornati di nuovo attivi.

I ricordi delle conquiste dei contadini poveri, dei lavoratori e dei giovani dopo la Rivoluzione del 1978 sono stati trasmessi alla nuova generazione. Il periodo dei primi mesi della Rivoluzione “Saur” ha offerto uno scorcio di ciò che potrebbe essere ottenuto con il rovesciamento di questo marcescente sistema capitalista e la messa a punto di un’economia pianificata, perfino in una forma caricaturale come quella di allora.

La propaganda imperialista che presenta lo spettro di un governo crudele e oscurantista e la talebanizzazione dell’Afghanistan come l’unica alternativa all’occupazione imperialista è completamente priva di senso. Trentadue anni fa l’Afghanistan era l’unico paese del Sud-Est Asiatico dove la proprietà privata e il capitalismo erano stati rovesciati e la morsa capitalista era stata spezzata. Imparando dagli errori fatti dai vecchi leader, una nuova generazione di giovani e lavoratori dell’Afghanistan potrebbe mettere in atto una rivoluzione socialista a un livello ben più avanzato.

Il ritorno del vecchio,obsoleto sistema attraverso l’aggressione imperialista e il bigottismo religioso ha significato il disastro per la società afghana. La nuova generazione è cresciuta in condizioni atroci. Sono stati cresciuti nella scuola della tirannia e dello sfruttamento. Il perdurare tuttavia tali sofferenze non è l’inevitabile destino del popolo afghano. La nuova generazione si sta muovendo verso conclusioni rivoluzionarie. In un recente dibattito su un popolare sito web dei giovani afghani, più del 70% era favorevole a studiare e comprendere Trotskij.

L’internazionalismo è la chiave per il successo della futura Rivoluzione Afghana. Oggi più che mai il destino dell’Afghanistan è legato a ciò che succede in Pakistan e in Iran. Forti vincoli storici, culturali ed economici hanno legato queste società l’una all’altra per migliaia di anni. Anche la Tmi (la tendenza marxista internazionale, di cui fa parte FalceMartello) ha sviluppato modeste ma salde forze rivoluzionarie in questi paesi. L’inaugurazione di una sede della Tmi nel centro di Kabul non è cosa da poco per la crescita e lo sviluppo delle forze del marxismo rivoluzionario.

Le forze del marxismo rivoluzionario possono crescere rapidamente negli eventi tempestosi che incombono. Una vittoria socialista può essere messa all’ordine del giorno prima di quanto molte persone possano immaginare al momento. La Storia ha decretato che questa regione cadrà nell’abisso della barbarie, o salterà i diversi stadi dello sviluppo capitalista attraverso una rivoluzione socialista. Questa è l’unica strada per andare avanti. È l’unico sentiero verso la sopravvivenza e l’emancipazione dei milioni di persone oppresse e sfruttate che bramano un cambiamento.