Catalogna: Lo sciopero generale del 3 ottobre e il discorso reazionario del Re

Ieri il Tribunale costituzionale ha sospeso la seduta del Parlamento catalano (in programma per lunedì prossimo) che all’ordine del giorno aveva  il risultato della referendum e la decisione sulla dichiarazione o meno dell’indipendenza. Ciò rappresenta un attacco importante alla democrazia catalana, in quanto chiude nei fatti il parlamento democraticamente eletto. Questa mossa può solo far arrabbiare le masse e spingere il presidente catalano Puigdemont a spingersi oltre a quanto avrebbe potuto voluto fare.

Gli avvenimenti negli ultimi giorni e nelle ultime ore confermano ciò che abbiamo spiegato in precedenza. Nel contesto del regime spagnolo del 1978, il compito dell’autodeterminazione nazionale diventa un compito rivoluzionario e pertanto non può essere raggiunto dai politici borghesi catalani, ma solo tramite mezzi rivoluzionari e tramite la conquista della classe operaia catalana nel suo complesso alla causa repubblicana. Pubblichiamo l’ultima dichiarazione dei nostri compagni di Lucha de clases, scritta mercoledì 4 ottobre.

Mobilitazione gigantesca contro la repressione, mentre il re chiede mano dura nel discorso al paese

Il 3 ottobre la Catalogna ha vissuto una protesta gigantesca contro la repressione dello Stato, con un clima insurrezionale in alcune parti della comunità catalana. Il governo del PP ha bruciato in soli 15 giorni tutto il suo arsenale repressivo nel suo vano tentativo di impedire il referendum sull’indipendenza di 1-O (primo ottobre, ndt) e l’ha fatto gettando benzina sul fuoco, causando un incendio di dimensioni colossali. L’azione diretta delle masse nelle piazze ha ostacolato ogni tentativo dello stato di schiacciare il movimento per l’autodeterminazione. Disprezzato da un’intera popolazione e sospeso a mezz’aria senza un solido sostegno parlamentare, il Re è accorso ad aiutare il governo PP e di Ciudadanos in un tentativo agonizzante di disciplinare i ranghi dei partiti “costituzionalisti” e di impedire qualsiasi negoziazione con la Generalitat (il governo regionale catalano). La monarchia ha così legato il suo destino a ciò che accadrà in Catalogna.

Ciò che l’1-0 ha lasciato

Milioni di persone in Catalogna hanno valutato il referendum del 1-O come una vittoria, vinto nelle strade. E così è stato percepito nel resto dello Stato e dai governi dei paesi più importanti a livello internazionale.

L’odio della popolazione verso le forze repressive inviate dal governo, che giustamente sono viste come una forza di occupazione, si è moltiplicato dopo la brutale repressione di migliaia di persone indifese davanti ai seggi elettorali. Centinaia di cittadini in diverse centri abitati nei dintorni di Barcellona e Tarragona hanno manifestato nelle giornate di lunedì e martedì davanti agli alberghi che ospitavano i poliziotti e “guardias civiles”, costringendoli a trasferirsi in altre residenze e strutture militari. I pompieri di Tarragona, oggetto di cariche da parte della polizia davanti ai seggi elettorali dopo essersi interposti come scudi umani a protezione dei votanti contro la repressione, hanno parcheggiato i loro camion lunedì davanti alla stazione di polizia della Polizia Nazionale di Tarragona, suonando le loro sirene per qualche minuto prima di partire, in un atto di sfida aperta.

Vale la pena di ricordare brevemente il comportamento epico di milioni di persone in Catalogna in queste settimane perché fosse assicurata la celebrazione del referendum, per comprendere la sua vera dimensione e l’immenso potere posseduto dalle masse una volta che entrano in azione.

Il divieto di assemblee e manifestazioni a sostegno del referendum in Catalogna è stato sfidato e sconfitto dal primo minuto con la partecipazione di migliaia di persone dappertutto.

I funzionari della Generalitat arrestati il ​​20 settembre sono stati liberati dopo gigantesche mobilitazioni “tumultuose”.

Un’organizzazione esemplare, con la partecipazione di parecchie migliaia di persone, ha assicurato la produzione e il recapito delle schede elettorali davanti al naso dei servizi segreti che non sono stati in grado di scoprire questa audace organizzazione.

Le schede elettorali, proibite, sono state stampate da milioni di persone in case private, uffici e piccole macchine da stampa affinché arrivassero in tutti i seggi.

10mila effettivi delle forze di polizia ben armati non sono stati in grado nè di impedire completamente il voto nè che milioni di persone vincessero la paura e la preoccupazione e uscissero per andare a votare in un atto “illegale” descritto come sedizioso dalla “magistratura”. Decine di migliaia di persone sono rimaste a protezione dei seggi durante la notte e centinaia di migliaia di persone hanno aspettato in fila per ore prima di poter votare.

Ma il fatto più importante è che gran parte dell’organizzazione della preparazione del voto nei quartieri e nelle città è stata compiuta dai Comitati di Difesa del referendum, formatisi a decine in tutta la Catalogna, alcuni giorni prima della votazione, riunendo migliaia di cittadini e di attivisti: questi costituiscono embrioni di potere popolare.

Un governo, come quello catalano, che ha disobbedito alle (ingiuste) leggi approvate dallo stato centrale ed è stato accusato di ogni tipo di reato, rimane al suo posto e il governo di Madrid non è stato nemmeno in grado, fino al discorso del re, di revocare completamente l’autonomia catalana attraverso l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione spagnola, per paura della reazione della popolazione.

Se tutto questo non esprime un atteggiamento rivoluzionario da parte milioni di persone, non sappiamo come potrebbe essere chiamata questa situazione.

Lo “sciopero di un paese” del 3 ottobre

Il giorno della mobilitazione del 3 ottobre è stato concepito in modo particolare, in quello che è stato chiamato “paro de país” (sciopero di un paese), ed ha coinciso con una richiesta di uno sciopero generale promossa dalla CGT (Confederación General deTrabajadores) e da altri sindacati minori, con il sostegno della CUP (Candidatura d’Unitat Popular) e di Podem, (Podemos in Catalogna). Già il giorno prima, lunedì, centinaia di migliaia di lavoratori si sono fermati a mezzogiorno e hanno organizzato presidi all’entrata delle loro aziende e di fronte ai consigli comunali.

La mobilitazione del 3 è stata organizzata dalla cosiddetta “Taula Democràtica” (Tavolo Democratico), che comprende tutte le organizzazioni che sostengono il diritto all’autodeterminazione, compresi i grandi sindacati, CCOO (Comisiones Obreras) e UGT (Unión General de Trabajadores), le organizzazioni di piccoli imprenditori, la Generalitat, e la sinistra catalana tranne il PSC (il partito socialista catalano).

Purtroppo, i leader catalani di CCOO e UGT hanno chiarito la loro risoluta opposizione a convocare uno sciopero generale, soprattutto nelle grandi aziende, e si sono limitati a raggiungere un accordo per uno “sciopero” con le piccole aziende che compongono la “Taula” e con la Generalitat, per quanto riguarda i dipendenti degli enti pubblici. Nelle grandi aziende, I sindacati semplicemente hanno notificato ai lavoratori che si erano opposti allo sciopero generale e che partecipare a quest’ultimo sarebbe stata un azione volontaria e individuale. Questo non solo ha causato una perdita di stipendio ma anche ‘incertezza e impotenza di fronte ai datori di lavoro. Tuttavia, settori significativi della classe operaia hanno partecipato attivamente allo sciopero, come i portuali di Barcellona e Tarragona, i pompieri e gli autisti del trasporto pubblico locale, e quelli della metropolitana e dell’azienda ferroviaria dell’area metropolitana di Barcellona.

Quindi lo sciopero è stato massiccio nei porti, nei trasporti, nella pubblica amministrazione, nel commercio, nell’istruzione, nella sanità e nelle piccole imprese, così come nei musei e nei teatri. Anche il complesso alimentare di Mercabarna è stato paralizzato, così come alcune zone industriali di Lleida. Le aziende delle diverse industrie del sud di Barcellona si sono fermate al 50%.

Anche il settore agricolo e le piccole aziende si sono unite allo sciopero, promosso dall’Unión de Payeses (il sindavcato degli agricoltori). Significativamente, il monastero di Poblet, sede dei monaci cistercensi, ha annunciato la sua adesione allo sciopero.

La mattina, ci sono stati blocchi stradali su circa 60 strade in tutta la Catalogna.

Nelle grandi aziende, la partecipazione allo sciopero è stata bassa, in gran parte a causa dell’atteggiamento già citato da parte della direzione sindacale. Ha avuto un piccolo effetto sull’impianto di Nissan nella zona franca di Barcellona (30% di partecipazione), ma non si è sentito nel principale stabilimento industriale in Catalogna, la SEAT di Martorell.
Dove la protesta ha visto una partecipazione importante è stato nelle cortei e nelle manifestazioni di massa durante tutto la giornata.

A Barcellona, ​​la Polizia locale ha stimato in 300mila partecipanti in diversi cortei durante la mattinata in tutta la città, con un gran numero di studenti. Nel pomeriggio 700mila persone hanno partecipato a un corteo gigantesco.

A Girona, una città di 100mila persone, 60mila persone sono scese in piazza a mezzogiorno. A Lleida c’erano 45mila persone secondo la Generalitat, e a Tarragona c’erano 10mila partecipanti al mattino e più di 30mila nella manifestazione pomeridiana.

Nelle altre città più piccole si sono tenute anche importanti manifestazioni, come 5mila in Tortosa e 8mila in Reus e Badalona.

Significativamente, in molte delle manifestazioni, bandiere spagnole isolate e, naturalmente, repubblicane, insieme a un mare di “esteladas” (la bandiera indipendentista catalana, ndt), si confondevano in una mobilitazione che univa una maggioranza di indipendentisti con persone non indipendentiste, scese in piazza contro la repressione della polizia. Questo è molto positivo perché esprime l’unità dal basso di larghi settori di massa e amplifica la base del movimento.

Il governo di Rajoy, sospeso a mezz’aria

Il governo Rajoy, arrogante solo un mese fa, ora è sospeso nell’aria. Nei due giorni successivi al 1-O è apparso senza forze, confuso e esitante. Non solo ha accusato il colpo di essere stato umiliato da parte della combattività popolare in Catalogna, ma è stato criticato all’interno e all’esterno del paese a causa della repressione della polizia. Nelle ultime settimane ha perso il sostegno quasi incondizionato del PNV (Partido Nacionalista Vasco), trovandosi ora in minoranza in parlamento.

La paralisi del governo centrale è accentuata dalla paura di ricorrere alla repressione violenta ancora una volta perché potrebbe produrre una conflagrazione sociale ancora più grande e lo scoppio di una rivoluzione aperta in Catalogna.

Sotto pressione da parte di Ciudadanos per applicare il famoso articolo 155 della Costituzione, revocare l’autonomia della Catalogna, destituire il governo Puigdemont e imporre la convocazione di nuove elezioni regionali, il governo Rajoy ha incontrato inaspettatamente il rifiuto del PSOE all’applicazione di queste misure. Pedro Sánchez, spinto dalla pressione del PSC, ha chiesto che si avviasse un negoziato tra Rajoy e Puigdemont. Ciò ha costretto il PP ad annunciare ieri a mezzogiorno che rinunciava ad applicare l’articolo 155, dato che non poteva contare di un appoggio parlamentare sufficiente.

La codardia della leadership del PSOE e l’indecisione e la mancanza di determinazione da parte della direzione de Unidos Podemos hanno impedito un’accelerazione del discredito del governo Rajoy e pure la sua caduta, cosa del tutto possibile se avessero convocato immediatamente una mobilitazione in tutto lo Stato contro la repressione in Catalogna e per il rifiuto delle sue politiche anti-sociali e repressive. Invece, hanno alimentato la confusione in un settore della popolazione lavoratrice del resto dello Stato, intossicata dal feticismo verso il rispetto reverenziale per la legge (per quanto sia ingiusta) e, in misura minore, dalla propaganda del nazionalismo spagnolo.

Puigdemont, che avverte la confusione in cui versa il PP e sente la pressione del movimento in Catalogna per proclamare unilateralmente l’indipendenza, ha manovrato per cercare di ritardare la proclamazione e provare ad avviare in modo illusorio un accordo, invocando la mediazione europea. Così ha innanzitutto ritardato la dichiarazione unilaterale dell’indipendenza (DUI), inizialmente prevista martedì, a giovedì; poi a Domenica, e alla fine alla prossima settimana.

L’intervento del re – il pericolo bonapartista

In una mossa inaspettata, di fronte alla paralisi del governo, la Casa Reale ha annunciato nel pomeriggio di due giorni fa che ci sarebbe stato un discorso in televisione del monarca sulla crisi catalana. Consapevole del discredito del governo del PP e l’umiliazione che avrebbe comportato il non rispondere con fermezza a quello che sembra essere un vuoto di potere, i settori decisivi della classe dominante spagnola hanno deciso una mossa disperata, nel tentativo di riprendere l’iniziativa, per ridare fiducia al nazionalismo spagnolo esistente negli strati più arretrati della società e per provocare un mutamento in senso reazionario nell’opinione pubblica contro il popolo catalano.

Molte persone, in maniera ingenua, si aspettavano un messaggio all’acqua di rose che condannasse l’intransigenza e l’avventurismo della Generalitat, ma che allo stesso tempo criticasse gli effetti della repressione della polizia e che facesse appello a un accordo negoziato “all’interno della Costituzione”. Niente di simile. Riflettendo il carattere reazionario del nucleo centrale della borghesia spagnola e del suo apparato statale, e l’offesa per il proprio prestigio messo in discussione dalle masse nelle piazze, ha lanciato una sfida alla Generalitat descrivendo il suo atteggiamento come “slealtà inaccettabile” e ha chiesto allo Stato di “restaurare l’ordine costituzionale in Catalogna”. Con un immenso disprezzo per la maggior parte del popolo catalano, ha avuto solo parole di conforto per la minoranza in Catalogna che appoggia la destra spagnola con la frase: “Non siete soli, avete la nostra solidarietà e la garanzia dell’esistenza dello stato di diritto”.

Questa è una dichiarazione di guerra contro i milioni che hanno appoggiato il referendum di autodeterminazione, i milioni che hanno partecipato al voto di 1-O e i milioni che hanno partecipato allo sciopero generale in Catalogna, indipendentisti o meno, contro la repressione della polizia, a cui non ha fatto alcun riferimento. Questo non può essere inteso in altro modo se non un appoggio esplicito alla repressione.

La Corona assume l’atteggiamento decisionista che avrebbe dovuto prendere il timoroso governo del PP, in quanto quello del Re è un appello implicito all’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione e a farla pagare al governo catalano, incluso con azioni penali, per l’umiliazione subita. Ma soprattutto il discorso del Re aveva un obiettivo: la leadership del PSOE, che deve farla finita una volta per tutte con le esitazioni e tornare a far parte del “blocco costituzionalista”, assumendo come gli altri la responsabilità le azioni da intraprendere, e le sue conseguenze.

Questa è una mossa molto rischiosa per la classe dominante, che ha deciso di sparare tutte le sue cartucce in una sola volta, perché se la mossa non funzionasse il prestigio della monarchia crollerebbe e questo potrebbe condurre allo sviluppo di un movimento di massa in tutto lo Stato a favore della Repubblica, estendendo il movimento rivoluzionario dalla Catalogna a tutto il resto dello Stato spagnolo.

L’atteggiamento del re svela la falsità diffusa per decenni sul ruolo decorativo di questa figura, quando invece la Costituzione del 1978 gli attribuisce importanti poteri di riserva che può usare contro il proprio popolo, come dichiarare lo stato di emergenza e persino portare avanti un colpo di stato militare, come Capo dell’esercito, possibilità prevista anche nella Costituzione.

Si può dedurre un altro obiettivo del discorso di Felipe: organizzare a tappe forzate un movimento di massa reazionario che possa opporsi nelle strade, forse non in Catalogna, ma nel resto della Spagna, al grande movimento popolare in Catalogna, facendo appello al “rispetto della legge e della democrazia “, alla “Costituzione”, contro “il separatismo ” e così via. Finora, tutti i tentativi della destra e dell’estrema destra spagnola per generare un tale movimento in queste settimane sono falliti, soprattutto per l’inevitabile odore fascista e franchista che si puó percepire in tutte le loro concentrazioni e piccole manifestazioni.

Ieri l’Alta Corte ha citato in giudizio per venerdì 6 ottobre il capo dei Mossos, Trapero, e I leader delle organizzazioni separatiste Omnium Cultural e Asamblea Nacional Catalana; sono accusati del delitto di “sedizione”. È la prima azione repressiva dello Stato dal 1-O e segue il discorso di Felipe VI, probabilmente in preparazione di una mossa successiva, ancor più grande.

Un momento critico: verso la rivoluzione o verso la reazione

Siamo in un momento critico. Se le esitazioni e i ritardi di Puigdemont si prolungheranno, senza dare uno sbocco, come riflesso dell’inconsistenza, della codardia e della mancanza di decisione di un politico borghese che teme e non crede al movimento di massa stesso (ma anche prodotto delle divisioni interne nel PdeCat tra il settore che più probabilmente vuole fare un passo indietro e quello che si oppone) , l’indecisione può trasferirsi agli strati più esitanti del movimento e trascinare a cascata altri settori significativi, lanciando il segnale alla reazione neofranchista per riprendere l’iniziativa.

Ma la mossa del Re ha grandi rischi. Resta da valutare non solo la reazione della classe operaia catalana, dei giovani e delle masse della piccola borghesia che in maniera schiacciante sostengono il processo di indipendenza davanti a un tentativo di imporre la legalità costituzionale con la violenza, in una situazione vicina all’insurrezione. Il PSOE è diviso. La direzione del PSOE andaluso, fedele servitore del nazionalismo spagnolo e della borghesia spagnola, ha criticato la mancanza di fermezza e Rajoy ha salutato il discorso del re. Ma molti media e leader locali hanno dichiarato la loro “frustrazione” per la mancanza della ricerca di un dialogo espressa nel discorso reale, e questo non solo in Catalogna, anche nelle Isole Baleari, nei Paesi Baschi e altrove.
Unidos Podemos e le organizzazioni vicine hanno reagito coraggiosamente. Alberto Garzón, che ha mantenuto una posizione infelice sulla questione catalana nelle scorse settimane, ma ha difeso il diritto di partecipare alla 1-O e ha implacabilmente condannato la repressione della polizia, ha fatto un appello aperto a lottare per la Repubblica. Sulla stesse linea si è espresso Xavi Domènech (leader di Bercelona en Comu). Pablo Iglesias ha chiamato Filippo VI “il Re non eletto” e ha chiarito che il suo discorso “non era in nostro nome”. Se Unidos Podemos riuscirà, come ardentemente speriamo, a difendere una posizione coraggiosa e sfidare i piani reazionari del regime del 78, potrebbe organizzare un movimento di massa che abbia l’obiettivo non solo di sostenere il popolo catalano e respingere ogni violenza contro di esso, ma pure di sviluppare un potente movimento a favore della Repubblica.

Anche se il monarca, la destra e la vile direzione socialista riportassero un certo successo nell’organizzazione di un movimento di massa “spagnolista” significativo, trascinando gli strati più arretrati, in esso farebbero inevitabilmente la voce grossa gli elementi fascisti e franchisti più disgustosi, che cercherebbero di criminalizzare e portare avanti violenze fisiche contro la sinistra e i suoi attivisti. La maggior parte della classe operaia spagnola può essere divisa e confusa sulla questione catalana, ma esiste una memoria storica e un istinto di classe antifranchista che i 40 anni del regime di 78 non sono stati in grado di seppellire. Se le provocazioni della reazione andassero troppo in là, ci sarebbe una risposta feroce dalla classe operaia che cambierebbe rapidamente l’intera situazione, unità alle condizioni di precarietà del lavoro e all’insofferenza per la corruzione del sistema, e che potrebbe portare ad un’esplosione rivoluzionaria in piena regola con un contenuto repubblicana e anti-capitalista.

Il movimento per l’autodeterminazione della Catalogna ha raggiunto il punto più alto mai immaginato. La maggior parte del popolo catalano ha sorpreso milioni di persone in tutto il mondo per la determinazione, la tenacia e il coraggio in queste settimane, di fronte ad un potente apparato statale. La corrente Lucha de Clases (sezione de la Tendenza Marxista Internazionale in Spagna) ha sostenuto senza riserve il referendum del 1-O e il suo risultato. Bloccata ogni altra alternativa con la quale il popolo catalano possa esprimere democraticamente il proprio parere sulla sua relazione con lo Stato spagnolo, abbiamo difeso la proclamazione di una repubblica catalana indipendente. Tuttavia, proclamare l’indipendenza non è sufficiente per creare un paese veramente indipendente. Anche se il movimento ha senza dubbi l’appoggio della maggior parte della popolazione catalana, manca ancora la conquista dell’appoggio della maggioranza decisiva della classe operaia, in particolare la popolazione di lingua castigliana, che forma una parte sostanziale dei battaglioni pesanti del proletariato catalano e che guarda con diffidenza l’ala borghese del movimento rappresentato dal PDeCat e le sue politiche a favore dei ricchi, dei tagli e delle austerità. Ciò che è necessario, quindi, è che la sinistra del movimento, dove il CUP e i settori alla sinistra dei Comuni e Podem hanno una posizione rilevante, operi per raggiungere questi settori, collegando la rivendicazione della repubblica con un programma di trasformazione socialista, coinvolgendo la maggior parte della classe operaia catalana.

Nell’immediato futuro, e di fronte all’annullamento imminente dell’autonomia catalana e della rimozione tramite un atto repressivo del governo Puigdemont, occorre preparare la resistenza per rispondere con una nuova offensiva nelle piazze.

Estendere i Comitati di Difesa, embrioni del potere operaio e popolare

Il compito principale del momento è quello di estendere e rafforzare immediatamente i comitati di difesa fino all’ultimo quartiere e città della Catalogna, con particolare attenzione ai distretti e alle zone manifatturiere, non come organizzazioni di gruppi di attivisti ma come organizzazioni di massa. Dovrebbe essere convocata un’assemblea nazionale dei comitati provenienti da tutta la Catalogna per assumere la vera rappresentatività del popolo catalano a fronte del probabile rimozione del governo della Generalitat e formare un governo dal carattere operaio e popolare che, con un ampio programma, possa raccogliere le esigenze di tutti i settori popolari, dai contadini, dai piccoli proprietari alla piccola borghesia, e legarlealle richieste più immediate dei lavoratori, vincolandole alla nazionalizzazione delle grandi aziende e banche catalane che hanno già espresso il loro sostegno e solidarietà con i loro fratelli di classe dell’oligarchia di Madrid.

Sarebbe necessario prendere il controllo dei “Mossos” (la Polizia regionale catalana), depurarla dagli elementi reazionari che esistono anche al suo interno e proclamare così una repubblica socialista catalana che rivolga un appello rivoluzionario alla classe operaia spagnola per sollevarsi contro il regime marcio del capitalismo spagnolo, dando così il via a un’ondata rivoluzionaria socialista attraverso la penisola, e oltre.