Slovenia: cade il governo, le proteste di massa continuano

Quello che fino a poco tempo fa era il “Paese modello” tra gli stati che facevano parte dell'ex Yugoslavia si trova ora nella crisi sociale più profonda della sua storia. Da mesi ormai la piccola nazione è scossa da un movimento di protesta che si dichiara “contro il sistema”. Il seguente articolo di Goran Musić ed Emanuel Tomaselli fornisce un'analisi della nascita e delle prospettive di questo movimento.

Il sogno di un piccolo e ricco stato capitalista tra le Alpi e l'Adriatico si è spento in meno di una generazione. Oggi, lo spettro della rivoluzione è tornato, più forte di prima. Il quotidiano “Dnevnik” descrive così la situazione: “Si può affermare senza esagerazioni che, dopo cinque anni di crisi, la Slovenia sta per essere dichiarata clinicamente morta. La recessione, accompagnata dagli eccessi (im)morali delle elites politiche ed economiche, ha fomentato un sentimento di disillusione tra la popolazione, che ha perso ogni speranza. I negozi dove è possibile vendere oro e gioielli in cambio di denaro stanno spuntando come funghi in una nazione dove precedentemente era possibile ottenere credito in cinque minuti; questi stanno diventando simboli di una povertà dilagante. Le principali aziende e datori di lavoro della regione stanno chiudendo i cancelli uno dopo l'altro, mentre agli ospedali manca il denaro per le forniture mediche. I giovani lasciano il paese, gli anziani non riescono ad arrivare alla fine del mese e la classe media sta praticamente scomparendo.”

Declino economico

Fino a cinque anni fa, tutto era diverso. La transizione dall'economia pianificata yugoslava (cosiddetta “socialista di mercato”) ad una economia basata sulla proprietà privata ed orientata ai servizi sembrava aver funzionato in Slovenia. I tassi di crescita erano significativamente sopra la media e lo slogan “Fare come gli sloveni” era un mantra comune negli altri paesi nati dalla dissoluzione della Federazione Yugoslava.

Le ragioni di tale successo sono diverse. Da una parte, l'elite neo-slovena ha rinunciato ad introdurre una terapia d'urto economica dopo il 1991. Nonostante la riduzione degli ammortizzatori sociali e della protezione occupazionale, questi elementi erano sopravvissuti in larga parte. Questo però non è stato dovuto ad un supposto carattere progressivo dell'emergente borghesia slovena, che si è ora dimostrata essere tanto reazionaria quanto il resto della nuove borghesie dei paesi dell'Europa centrale ed orientale. Al contrario, la differenza dello sviluppo economico sloveno deve essere ricercata nella continuità della forza del movimento operaio sloveno, che è sopravvissuto alla transizione mantenendo una propria forza ben organizzata, specialmente nei sindacati.

Questa è stata la motivazione principale dell'introduzione di elementi fortemente democratici nella Costituzione (che in questo momento di crisi sta venendo “corretta”) e del rifiuto iniziale di iniettare nell'economia slovena una terapia d'urto neoliberale. Dato che le entrate da esportazioni sono diventate un problema dopo l'integrazione nell'UE e l'adozione dell'euro e che questo ha generato una saturazione di capitale finanziario, nell'ultimo decennio la borghesia slovena ha cominciato ad affidarsi sempre più alle rendite della finanza e dei beni immobiliari. Le banche slovene, per la maggior parte di proprietà statale, si sono indebitate con l'estero ed hanno investito principalmente negli immobili (in particolar modo centri commerciali ed abitazioni di lusso). In questo modo si è raggiunto allo stesso tempo un alto livello di crescita e di indebitamento – un equilibrio precario che poteva durare solamente finché i prezzi, gonfiati dalla speculazione, avessero continuato ad innalzarsi.

Dialetticamente, gli effetti di questa speculazione si sono ora trasformati nel loro opposto e stanno portando l'economia slovena al baratro. Quest'ultima si è contratta dell'8% nel 2009, e dopo due ulteriori anni di stagnazione essa si è ridotta di un ulteriore 2,3%. L'investimento nei beni materiali si è praticamente dimezzato dopo l'inizio della crisi; la Slovenia ora sta sopravvivendo sulle sue riserve di grasso. La disoccupazione è cresciuta dal 7% al 12%, con un giovane su quattro disoccupato. Addirittura, il 20% della popolazione è ora considerato essere al di sotto della fascia di povertà.

Dall scoppio della crisi, il deficit annuale del budget è stato superiore al 6% del PIL. Il Fondo Monetario Internazionale si aspetta che il debito nazionale triplicherà dal basso 22% del 2008 al 70%. Il mercato del credito sloveno rimane congelato dal collasso della banca Lehmann Brothers del 2008. Le più grandi banche slovene sono al momento considerate clinicamente morte, ed i loro archivi rivelano che il 20% di tutto il credito non è recuperabile. Si stima che per rimediare alla crisi bancaria sia necessaria una quantità di denaro (7 miliardi di euro) pari ad un quinto dell'output economico nazionale – una misura di facile calcolo, ma di difficile implementazione nella società.

Tagli alla spesa sociale

Seguendo le istruzioni della Troika (EU, BCE, FMI), ora devono essere applicate tutte le durissime cure della ricetta neoliberale: tagli ai salari nel settore pubblico (sindacati e Governo si scannano sulla misura di questi tagli: 5% o 7,75%), riforme delle pensioni e dello stato sociale, e tagli a cifra doppia all'istruzione ed alla sistema sanitario nazionale; liberalizzazione del mercato del lavoro; privatizzazioni (dell'energia, delle assicurazioni, delle ferrovie, dei centri commerciali...), ed ovviamente tagli alle tasse per i ricchi e le imprese. Allo stesso tempo, moltissimi impiegati e lavoratori del settore privato devono sopportare ritardi di mesi nell'erogazione dei salari. Dato che il governo del conservatore Janša ha fallito nel realizzare queste politiche, al nuovo primo ministro di centrosinistra, Alenka Bratušek, tocca ora il calice avvelenato della stabilizzazione della finanza pubblica e della promozione della crescita. Ma fallirà anche lei. Ma è dove fallirà ad essere di primaria importanza per il movimento operaio.

“Abbasso la corruzione ed il sistema”

Figurativamente parlando, l'alluvione ha travolto argini e dighe: non solo il movimento non è stato fermato dall'aumento della brutalità da parte della polizia, ma anzi ne ha tratto nuova forza e vitalità. Manifestazioni, cortei ed azioni di piazza sono stati eventi quotidiani lo scorso Dicembre. ZSSS, la più grande confederazione sindacale, ha rinviato lo sciopero generale per un mese fino a Gennaio, in modo da non rompere con la propria tradizione di “dialogo sociale” e fornire al movimento ulteriore slancio. Altri sindacati sono stati meno timidi. Quando la direzione della azienda produttrice di elettrodomestici Gorenje ha annunciato che la tredicesima sarebbe stata ridotta a 150 euro, il 12 dicembre il turno mattutino della fabbrica principale ha iniziato uno sciopero spontaneo, che dopo 4 ore ha portato alla vittoria degli scioperanti ed una tredicesima di 300 euro.

Si sono allo stesso tempo scoperte numerose prove relative all'arricchimento illegale dell'elite politica. Il primo ministro Janša, che aveva già dovuto affrontare numerose accuse riguardo queste entrate, si è trovato stretto tra l’impazienza della Banca Centrale Europea da una parte e la pressione dei movimenti di protesta dall'altra. La sua coalizione pentapartito ha arrancato sempre più finché non è stata costretta il 28 febbraio a dimettersi di fronte a forti proteste. I principali progetti falliti di Janša erano la creazione di una “cattiva banca” - fondamentalmente la nazionalizzazione dei debiti irrecuperabili delle banche – da una parte, e la fondazione di un'agenzia di privatizzazione dall'altra. Le politiche economiche slovene sono ora dettate dalla Troika, che mira ad evitare di creare un pacchetto di salvataggio per un'altro paese europeo. Invece di richiedere nuove elezioni, è stato formato un nuovo governo il cui primo ministro è per l'appunto Alenka Bratušek. Spetta ora alla nuova coalizione il compito di affrontare la rabbia che pervade le strade e di calmare i mercati finanziari.
Un programma per i mercati

È da anni ormai che le coalizioni governative vengono cambiate e rimandate a causa della persistente opposizione sociale. Particolari elementi di democrazia, come ad esempio il diritto ad un referendum in presenza di 40000 firme, si sono sviluppati negli ultimi anni come importanti limitazioni alla trasformazione neoliberista. Ad esempio, lo ZSSS ha organizzato un referendum contro la riforma delle pensioni. Il 5 giugno 2011, il 72% dei votanti si è espresso contro l'innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni. Il Financial Times commentò così: “In sostanza, in molti desiderano tornare allo stato sociale dell’era paternalistica della yugoslavia, senza rendersi conto che i costi di questa operazione non possono essere sostenuti senza un'economia altamente produttiva”.

Anche le questioni della fondazione dell'agenzia di privatizzazione e dell'implementazione dei tagli ai salari previsti dalla finanziaria 2012/2014 sono state individuate per la votazione tramite referendum, da parte di sindacati e diversi altri gruppi (compreso lo stesso partito della Bratušek, “Slovenia Positiva”). Però, una sentenza della Corte Suprema slovena ha decretato il 12 dicembre 2012 che “il rifiuto od il ritardo di queste leggi … avrebbe conseguenze contrarie alla nostra Costituzione”.

Considerata questa situazione, la rabbia del popolo sloveno diventa sempre più comprensibile: impoverimento, brutalità da parte delle forze dell'ordine, politici corrotti in tutti i partiti ed abolizione dei diritti democratici nell'interesse dei padroni e dei finanzieri.

Ed ora?

Alenka Bratušek, il nuovo primo ministro di centrosinistra, governa grazie ad una maggioranza garantita da due soli deputati ed è ora costretta ad implementare una politica che qualche settimana fa tentava di fermare per via del referendum. Il primo grosso progetto prevede il rifinanziamento delle banche slovene attraverso la creazione di un fondo di 4 miliardi di euro di soldi pubblici. Secondo le principali banche, quest'iniezione di contante è necessaria ad evitare la bancarotta entro la prima metà del 2013. Considerati i paralleli con la crisi cipriota, c'è un gran nervosismo tra  Ljubljana e Brussels.

L'obiettivo dichiarato della Bratušek – il salvataggio e la garanzia contemporanei dell'istituzione statale, dei diritti sociali e delle banche – è totalmente scollato dalla realtà del capitalismo. Il professore di economia Igor Masten ne commenta così il programma: “Nonostante il nuovo governo miri a ricapitalizzare le banche e consolidare le finanze pubbliche, non ci è dato di sapere come intende farlo”. Bratušek si è posta sulla difensiva dichiarando che il suo governo si pone l'obiettivo di durare solo un anno. Non si è dimostrata d'accordo solamente coi sondaggi che prevedono una breve durata del suo governo, ma anche con le pratiche degli altri partiti socialdemocratici della periferia dell'economia europea: autosacrificio per la sopravvivenza del capitalismo. Papandreu, Zapatero e compagnia mandano i loro saluti dalle coste meridionali del Mediterraneo.

Resistenza

Il movimento di protesta affiorato nell'inverno tra il 2012 ed il 2013 ha rappresentato un punto di svolta nella breve storia dell'istituzione statale slovena. Le illusioni rispetto alla democrazia borghese ed alla prosperità capitalista sono scoppiate come una bolla. Il nuovo irrompe sempre sul palcoscenico della storia come negazione delle relazioni esistenti, e questo è successo anche in Slovenia. Il fine e la profondità di questo movimento sono di importanza cruciale in questo caso: le partecipatissime manifestazioni sono state animate da gruppi di giovani assieme a schieramenti sindacali, organizzazioni di veterani della guerra di indipendenza del 1991, la sinistra organizzata e da persone che, in mancanza di organizzazioni formali, si sono unite alle proteste in massa attraverso i social network. La debolezza del movimento è stata la sua divisione fattuale in due mobilitazioni separate, che non collaboravano sempre nelle dinamiche di piazza. Da una parte trovavamo le sovramenzionate proteste di strada spontanee contro “il sistema” e dall'altra le manifestazioni sindacali, politicamente orientate verso il mantenimento del dialogo tra le parti sociali. In particolar modo, alle manifestazioni venivano agitate bandiere rosse e della repubblica federativa yugslava, e capitava di sentir cantare le canzoni del movimento operaio. Nei cortei più grandi a Ljubljana i poliziotti hanno cominciato a mostrare un atteggiamento molto difensivo e ad accettare garofani dai manifestanti.

Gli slogan erano diretti contro i politici ed il loro sistema: “Il Parlamento è un nido di criminali”, “Oggi è il nuovo giorno”, “Siete tutti licenziati”, “Dovreste camminare tra la gente, non sopra di loro”, “Ladri”, “La nostra città non è in vendita”, “Fanculo ai mutui”, “Democrazia diretta” eccetera.

L'obiettivo immediato del movimento è stato raggiunto. Janša non è più al potere, ma le sue politiche continuano ad essere proposte e discusse. Le elezioni a Maribor hanno fatto eleggere un rappresentante del movimento, il cui programma politico consiste nell'ottenere investimenti rivolti alla città attraverso il principio di legalità e la partecipazione attiva delle associazioni di datori di lavoro. La confederazione sindacale ZSSS ha dato supporto al nuovo governo Bratušek e di aspetta che rompa con il FMI. Nonostante ciò, né il nuovo gruppo parlamentare, né il sindaco di Maribor, né le speranze nel governo Bratušek porteranno ad un cambiamento della situazione sociale. Il fallimento di queste speranze politiche è programmato da tempo; stiamo entrando in un periodo di instabilità politica. Il compito della sinistra è quello di cogliere il momento ed approcciarsi alle masse con un programma che si colleghi alle loro aspirazioni sociali e democratiche ed offra una prospettiva per il superamento del capitalismo.

La sinistra slovena

Il panorama politico sloveno in questi anni è stato molto più dinamico che quello di ogni altro paese della regione. Da una parte, si sono avuti degli echi visibili di movimenti politici internazionali come Occupy, e dall'altra il movimento operaio sloveno ha ricevuto considerevole attenzione internazionale con le sue campagne di massa. Esiste anche un vivace dibattito culturale di sinistra, che quantomeno sul piano astratto ha cominciato ad occuparsi di questioni di classe, dopo anni nei quali il dibattito culturale della sinistra ha seguito la moda postmoderna di definire sé stessa in termini meramente culturali e sociologici.

La svolta dell'inverno di protesta 2012/2013 pone alla sinistra la scommessa di uscire dalla periferia ed arrivare al cuore della società. I dibattiti cultural-sinistroidi degli ultimi anni non saranno sufficienti, dato che mancano di rilevanza per il resto della società. Né ci si potrà accontentare del rimanere nella nostalgia dello yugo-patriottismo. Le forze di sinistra potranno sempre usare i vantaggi della vita in uno stato socialista rispetto alla vita nelle società capitaliste post-yuogoslave alla periferia della UE; ma allo stesso tempo dovranno essere capaci di spiegare le ragioni che hanno portato al fallimento del sistema yugoslavo da un punto di vista marxista. Il movimento partigiano è qualcosa di cui la sinistra della regione dovrebbe contiunare ad essere fiera, senza tralasciare la necessità di collegare questa tradizione alle questioni politiche concrete che le persone si trovano ad affrontare in questo preciso momento. La crescita dell'influenza sociale che avrà la sinistra dipenderà dalla sua capacità di riuscire a riempire il vuoto che c'è tra sé stessa ed il dinamico movimento operaio sloveno.

Laddove i dimostranti accusano il “sistema” di essere responsabile della loro situazione, il compito della sinistra deve essere quello di chiamare le cose col proprio nome: capitalismo. I politici corrotti non sono responsabili della crisi, ma solo uno dei sintomi di un modo di produzione che ha raggiunto i suoi limiti storici da tempo. Il suo superamento dovrebbe essere il punto focale di un programma anticapitalista di sinistra.

Ovviamente, questo non avverrà attraverso semplici proclami. La sinistra deve collegare il proprio programma alle lotte che occorrono nella società. La redistribuzione della ricchezza della società dalla classe lavoratrice ai proprietari di capitale è la base di questi conflitti, e di tutti i conflitti della società: salvataggi per le banche, le finanziarie, riforme del mercato del lavoro, tagli alla spesa sociale, mancati pagamenti dei salari...

Una sinistra anticapitalista che sia all'altezza del suo compito storico deve agitare e propagandare ragioni contro qualsiasi abbassamento degli standard di vita delle classi lavoratrice e media. Che siano i capitalisti a pagare la crisi che hanno provocato. Nel caso delle banche slovene, ci opponiamo apertamente ai piani di salvataggio che pesano sulle spalle dei contribuenti e proponiamo l'uso dei soldi dei capitalisti per coprire i loro affari bancarottieri. Lottiamo per il controllo delle operazioni necessarie al funzionamento quotidiano delle banche da parte del movimento operaio. Un governo di sinistra annullerebbe poi ufficialmente tutto il debito estero del paese nazionalizzando allo stesso tempo le industrie e le imprese.

Per quanto concerne le vertenze sulle questioni del lavoro, la sinistra anticapitalista si scaglia contro i tagli ai salari e le minacce di serrate. Chiediamo l'apertura dei libri contabili. Gli imprenditori devono provare che i soldi per i salari dei lavoratori non ci sono. Sui conflitti che nascono dalle chiusure delle aziende, sosteniamo la lotta per nazionalizzarle e porle sotto il controllo dei loro lavoratori.

Questi consigli programmatici, ovviamente, formano solo una bozza e devono conseguentemente venire legate alle condizioni concrete della lotta, adattandosi allo stesso tempo alle tradizioni del movimento della classe lavoratrice locale: un compito che può venire svolto solo mediante gli sforzi della stessa sinistra slovena.

19 aprile 2013